venerdì 16 novembre 2012
​Parte da Milano il progetto che punta a rivitalizzare il settore del riuso per offrire alle categorie più disagiate nuove opportunità. La Caritas: «Valore aggiunto» bei cassonetti. Una scelta non profit che ha trovato anche la collaborazione dell’Anci.
A Ercolano raccolta, igienizzazione, export
Riciclare i tessuti fa bene a economia e ambiente
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Provate a immaginare lo stadio di San Siro e il Duomo di Milano stipati di abiti usati. È quanto è stato raccolto in 15 anni dalle cooperative sociali promosse dalla Caritas Ambrosiana attraverso i cassonetti gialli sparsi sul territorio della diocesi. Per inciso, sono 80 mila tonnellate che, rivendute in una filiera etica certificata, hanno portato alla creazione di 49 posti di lavoro a soggetti svantaggiati – tra cui padri di famiglia, rifugiati e senza dimora – e al reinvestimento di un milione e mezzo di euro, usati per finanziare 79 progetti rivolti a donne vittime di tratta, anziani soli e bambini abbandonati. Ora provate a immaginare 240 mila tonnellate di abiti usati e accessori. Sono quattro chili a testa per ogni italiano, l’equivalente di 16 mila tir. È quanto il Belpaese mediamente - in barba alla crisi - butta ogni anno svuotando gli armadi. Solo la metà viene intercettata dai consorzi del riuso. Il resto viene bruciato negli inceneritori. Ma entro il 2020 l’Ue ci impone con una direttiva di aumentare la quota di riuso dei rifiuti. Contando che solo il vetro in Italia potrebbe venire riutilizzato (ma da noi non si fa), le prospettive di crescita della raccolta del tessile diventano enormi. Resta da vedere chi metterà le mani su un business di svariati milioni e con quali finalità. Perché in questo campo ci sono luci, come quella milanese, c’è il profit onesto e le molte ombre che vanno dal profit travestito da non profit alle ecomafie che, come dimostrano molte inchieste condotte in passato, utilizzano nomi o marchi di finte associazioni per condurre raccolte porta a porta o abusive con cassonetti installati nottetempo. A Milano circa tre lustri fa partì dalle cooperative del consorzio Farsi Prossimo l’idea di trasformare l’annuale raccolta di abiti usati organizzata dalla Caritas diocesana attraverso le parrocchie nella raccolta stabile con i cassonetti gialli. Cassonetti che, dopo l’esperienza pilota milanese si sono diffusi in Italia, diventando sinonimo di riutilizzo solidale e di ecologia, anche se il settore difetta di trasparenza sul versante della legalità e del lavoro nero. L’idea da anni si comunque è messa in viaggio. Attualmente sono 40 le diocesi impegnate con i cassonetti con 50 cooperative sociali e da Milano è stata rilanciata ieri con un restyling dei cassonetti - in evidenza il marchio Caritas e il logo «Dona Valore» - per segnalare l’unica raccolta gestita integralmente da onlus. «Noi – spiega il direttore della Caritas diocesana don Roberto Davanzo  – abbiamo praticato la strada della legalità e della trasparenza e della cura del creato vincendo la sfida. La carità si è fatta impresa». Così nel 1997, utilizzando la legge Ronchi che obbligava dal 1992 le amministrazioni alla raccolta anche del tessile, furono stipulate le prime convenzioni con il comune di Lissone e poi di Monza, quindi Milano. Oggi i comuni convenzionati sono oltre 200 e le parrocchie 400. Qual è la filiera certificata dell’abito che dismettiamo? «Una minima parte – risponde Carmine Guanci, coordinatore della rete Riuse che riunisce le coop sociali diocesane della raccolta – resta alle Caritas che lo da ai poveri. Abbiamo raccolto nel 2011 8000 tonnellate di abiti e non ci sono così tanti indigenti. La gran parte viene allora conferita a impianti autorizzati che dopo averlo igienizzato lo selezionano. Il 68% viene rivenduto all’estero, soprattutto in Tunisia, e da lì arriva sul mercato africano. Il 25% viene venduto direttamente sul mercato europeo, vale a dire Germania e Olanda, il resto si trasforma in pezzame industriale».Per crescere serve la collaborazione dei comuni i quali, spesso, per motivi di arredo urbano non concedono l’autorizzazione lasciando via libera a installazioni abusive di colore giallo che giocano sulla confusione. Diversi municipi per fare cassa indicono bandi dove si paga un tanto al chilo raccolto o al cassonetto per vincere la gara. Così il non profit è fuori causa e il reinserimento dei disoccupati a rischio. Ma l’Anci vuole usare l’ultomo scorcio di legislatura per presentare al governo un parere orientato al terzo settore, intanto ha siglato una lettera d’intenti con il consorzio nazionale di raccolta Conau inviandola agli 8000 aderenti.«Entro il 2020 – conferma Filippo Bernocchi, delegato di presidenza dell’Associazione dei comuni –  aumenterà la quota di rifiuti riutilizzati, il tessile è il settore su cui puntare. Diventerà operativo un gestore unico, vorremmo promuovere le esperienze non profit che rispettano legalità, ambiente e con valenza sociale».L’Italia in cerca di lavoro, anche se non manca di bastonarlo, dovrebbe guardare con attenzione alla capacità d’impresa del terzo settore.
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