Dopo il caso del Flaminio. Bambini abortiti, «vite umane, non spazzatura»
L’area di un cimitero del Nord Italia dedicata alla sepoltura anonima dei bambini non nati, a cura di Advm
Da quando l’associazione è nata, nel 1998, ha curato la sepoltura di 300mila bambini mai nati. Aborti spontanei o volontari, a don Maurizio Gagliardini importa poco. Quello che conta è garantire la pietà che ogni essere umano, dopo la morte, merita. Anche se piccolo, anzi, proprio perché il più indifeso di tutti. Il sacerdote 76enne guarda con gli occhi dei suoi anni, della sua fede e della sua esperienza alle polemiche di questi giorni sul Cimitero Flaminio, dove i bambini non nati sono stati incredibilmente sepolti con il nome e il cognome della madre.
Don Maurizio, a Roma c’è stata una palese violazione del diritto alla riservatezza delle madri. Come può essere successo?
La legge prescrive che dopo le 20 settimane di gestazione i resti dei bambini si devono seppellire. L’ospedale San Camillo Forlanini, come è prassi, ha stipulato una convenzione con l’Azienda municipalizzata di Roma per farli confluire al Flaminio. Si indagherà, ma penso che qualcuno abbia pensato di sua iniziativa di aggiungere al codice anche il nome.
Aveva già avuto notizia di questa prassi prima d’ora?
No, mai. Nei cimiteri in cui operiamo mai ci è capitata una prassi analoga. Mai abbiamo inumato bambini con i nomi delle madri.
L’associazione Difendere la Vita con Maria, che lei presiede, ha diverse convenzioni con ospedali e Asl che la autorizzano alla sepoltura dei bambini non nati. Quante e dove?
L’associazione giuridicamente è nata nel 1998 e oggi conta 2.700 associati in diverse regione italiane, con una sessantina di commissioni locali. In 19 regioni abbiamo associati che operano a livello culturale e sociale, con accompagnamento alla vita prenatale. Abbiamo una decina di convenzioni con alcune Regioni – come Lombardia, Piemonte, Liguria, Marche, Basilicata e Puglia –, in altre le stiamo chiudendo.
Ci vuole riassumere cosa prescrive la legge?
La legge prevede che fino alle 20 settimane di gestazione, classificandoli come «resti non riconoscibili», i bambini non nati devono essere smaltiti attraverso l’incenerimento a meno che «i genitori o chi per essi» chiedano di poterli recuperare. Ciò accade molto frequentemente: attraverso il nostro numero verde (800 969 878), attivo 24 ore su 24, in genere i papà o i nonni ci chiedono come fare per riavere i resti del bambino. Se a loro fa piacere, li aiutiamo a svolgere l’iter. Anche a Roma abbiamo svolto spesso questo compito, accompagnando al Cimitero Laurentino diverse famiglie e aiutandole anche economicamente. Lì c’è il «Giardino degli angeli»: ogni tomba ha una piccola lapide con la data della sepoltura. Non c’è nessun nome.
E dopo la 20esima settimana, cosa succede? Una prima circolare dell’allora ministro della Sanità Donat Cattin (era il 1988, confluito poi nel 1990 nel Dpr 285) chiedeva la separazione dei resti dei bambini morti prima della 28esima settimana dalle «parti anatomiche ». Il Dpr prevede che i familiari possano richiedere i resti. In ogni caso gli ospedali devono tumularli, così in genere stipulano convenzioni per la raccolta, la conservazione, il trasporto e l’inumazione. Nelle nostre convenzioni noi interveniamo con la sepoltura periodica, una volta o due al mese.
L’associazione fa differenza tra aborti spontanei e interruzioni volontarie di gravidanza?
No, noi non chiediamo nulla.
In questi giorni molti hanno affermato che la pratica di seppellire i feti abortiti umilia le donne. È un’accusa ingiusta e dolorosa. Cosa ne pensa?
Non tutti riflettono bene su questa questione. Ogni morte prenatale consegna alla madre, al padre, alla famiglia e alla società dei resti mortali: un cadavere, anche se piccolo. Persino il diritto italiano attribuisce al concepito una personalità giuridica. Ebbene, questo cadavere ha diritto all’onore, non può essere disprezzato nei rifiuti. La sepoltura è un’opera di misericordia. E, aggiungo, non è espressione di civiltà 'cattolica', ma di tutte le civiltà. La civiltà nasce con l’onore ai defunti.
Anche le croci sulle tombe dei non nati sono state messi in discussione.
La croce, in verità, può essere considerata un simbolo universale. Ma certo fa riferimento al mondo cristiano, tanto più la croce del cimitero. Nelle nostre sepolture, proprio come estremo rispetto di tutte le sensibilità, non la mettiamo in evidenza. Nell’attuale situazione sociale e culturale questo tema è rovente, e noi come associazione non abbiamo come scopo principale la denuncia ma l’accompagnamento della famiglia perché i resti del bambino possano essere onorati. I resti mortali di un concepito non possono essere discriminati a seconda se la famiglia li richiede o no. Tutti hanno diritto all’onore della sepoltura, e a non essere disprezzati nella spazzatura. Questa si chiama civiltà