L'analisi. Embrioni geneticamente modificati, il ritorno di He Jiankui
He Jiankui
He Jiankui è tornato a far parlare di sé. Lo studioso cinese che nel 2018 annunciò al mondo di aver fatto nascere due gemelline con il Dna modificato per evitare loro di contrarre l’Hiv, e che per questo l’anno dopo, nel suo Paese, fu condannato a tre anni di galera, ha comunicato al mondo, via social, un nuovo progetto sperimentale: «L’editing genico di embrioni umani per proteggere dalla malattia di Alzheimer».
Con una tecnica analoga a quella utilizzata per il primo esperimento, He Jiankui propone una manipolazione del Dna per impedire lo sviluppo di una delle patologie neurologiche più diffuse e invalidanti negli anziani. Il ricercatore vuole testare la procedura prima su un embrione di topo e successivamente su uno umano ma con anomalie, di quelli scartati dalle cliniche perché non destinati a essere trasferiti in utero per avviare gravidanze. Solo studi in vitro, quindi, stavolta, e dopo una autorizzazione governativa e un parere di un comitato etico internazionale con bioeticisti da Usa e Europa, come ha specificato lo scienziato, la cui uscita ha comunque suscitato un nugolo di polemiche nella comunità scientifica, a partire dalle modalità singolari dell’annuncio – una paginetta su Twitter che, in effetti, fa pensare più che altro a una trovata pubblicitaria, come ha osservato anche Joy Zhang, direttore fondatore del Centre for Global Science and Epistemic Justice alla Università del Kent, in Gran Bretagna.
Ma anche nel merito la proposta lascia a desiderare: «L’intera faccenda è, per dirla senza mezzi termini, folle», ha denunciato Peter Dröge, docente ed esperto di Genetica molecolare e Biochimica alla Nanyang Technological University di Singapore, contestando il razionale dello studio. Vedremo se effettivamente questo studio muoverà i primi passi. Il ricercatore cinese ha dichiarato alla Cnn che al momento sta raccogliendo reazioni da parte di scienziati e bioeticisti, ha promesso che il suo sarà un lavoro trasparente, e che ne condividerà i risultati, sempre su Twitter.
Un’operazione nel complesso poco credibile, che non avrebbe trovato spazio nelle cronache se il protagonista non fosse stato He Jiankui: il ricercatore ha già dato prova, purtroppo, di una spregiudicatezza sconsiderata nel suo lavoro, giudicata come una colpevole irresponsabilità, tanto da essere sanzionata in un Paese come la Cina dove le limitazioni etiche alla ricerca sono a dir poco scarse. Non è detto che abbia imparato la lezione nei tre anni di silenzio.