Vita

Centri di aiuto Cav. La vita fa miracoli: 8.301 bimbi salvati

Viviana Daloiso sabato 11 novembre 2017

Un neonato (Ansa)

Ci sono discorsi, sulla vita. Sulle donne, sulle madri, sui diritti. Sui valori delle nuove generazioni di ragazzine che stanno crescendo, strette nella morsa micidiale della Rete, del disagio. E poi c’è quello che succede, ogni giorno.

Una di quelle ragazzine – ha appena 14 anni, vive a Roma – si siede alla scrivania e racconta d’aver preso la pillola del giorno dopo 4 volte nella stessa settimana. Un’altra – 16 anni, siamo in un paesino della Romagna – è incinta di 5 mesi e mezzo e non se n’era accorta, «che cosa succede adesso? Io questa pancia non la voglio». Spalmava la crema anticellulite, tutte le sere, prima di fare il test. Un’altra ancora ha comprato da sola i medicinali per abortire in casa, e l’ha fatto, «e adesso voglio solo morire, ma mi raccomando non dite niente ai miei genitori». C’è chi arriva su un barcone, con un bimbo in grembo, e oltre a quell’inferno non ha niente, nemmeno un nome su un documento. C’è chi ha un lavoro stabile, e non sa chi è il padre del figlio «che ora rischia di rovinarmi la carriera». C’è chi scappa da un uomo violento, «se sa che aspetto un bambino mi ammazza». Queste donne in carne e ossa, nel 2016, hanno bussato oltre 30mila volte ai Centri di aiuto alla vita, riuniti da giovedì fino a domani a Milano per il 37° Convegno nazionale. Un po’ meno della metà di loro – 13mila – erano in gravidanza. Come si risponde a un’emergenza vera, subito? Cosa si fa, per una donna e per il suo bambino?

La strada più facile, all’apparenza, è quella di cancellare il problema. Si chiama aborto, ed ora si può fare anche in pillole (del giorno dopo, dei cinque giorni dopo, abortiva). È la più battuta nella nostra povera Italia: povera di risorse, povera di personale, povera di tempo. Non a caso l’ultimo dato disponibile, relativo al 2015, dice che è stata scelta 86.639 volte (a cui vanno aggiunte le altrettante confezioni di pillole varie acquistate). L’altra strada è quella che imboccano i Cav, 349 ospedali da campo sparsi sul territorio dove con le donne arrivano le gravidanze, le povertà, gli abusi, la crisi, il disagio abitativo, la mancata integrazione. E dove qualcuno propone un’alternativa: la vita.

LE STORIE I 200 figli nati nella "tenda" di Angela di Viviana Daloiso

La vita fa miracoli: nel 2016 sono stati 8.301, dal 1975 (l’anno di fondazione del primo centro a Firenze) a oggi oltre 190mila. Figli nati contro tutto e contro tutti, soltanto perché una donna è stata accolta e ascoltata. I soldi, la casa, vengono dopo. Servono, certo: ci vuole una casa per le donne che non ne hanno una (40 le strutture di accoglienza che appoggiano i Cav), ci vogliono soldi per chi non ha denaro (795 i Progetti Gemma avviati nel 2016). Prima però c’è una mano tesa, un sorriso. Al presidente del Movimento per la vita, Gian Luigi Gigli, piace chiamarlo «nuovo umanesimo»: «Occorre questo, un nuovo umanesimo che incominci ad essere presente già qui e ora, nel presente della Storia grazie a donne e uomini capaci – dove la disumanità avanza – di testimoniare ricostruendo l’umano, di generare pensieri e azioni oltre la corrente» ha detto aprendo il convegno di Milano ieri. Concretezza, contro i discorsi. Vita, contro la morte: «Quella Vita, come scritto nella vostra sigla, che è di per sé maiuscola, dono che ci trascende – ha scritto il presidente della Cei Gualtiero Bassetti nel suo saluto ai Cav –, ma che necessita costantemente sia di supporti materiali immediati, sia di percorsi pedagogici a monte».

Nei Cav a renderli possibili sono oltre 15mila volontari. Anche loro, spesso, con storie di sofferenza alle spalle, perché a una ragazza che vuole abortire serve trovarsi davanti qualcuno che sa cos’è l’aborto, che ha portato in grembo un figlio. E che risponde «ci sono». Succede sempre più spesso online, dove i Cav stanno trasferendo la loro presenza in maniera massiva (tramite il servizio Sos Vita) per arrivare ai giovani e possibilmente prima dell’emergenza: la nuova sfida è lì, dove le piccole donne chiedono “aiuto” a Google – o, più spesso, scrivono “aborto” – e il motore di ricerca offre le sue fredde risposte. La vita ha più che mai bisogno di testimoni anche in Rete.