Vicenza. Il vescovo: Stefano Gheller ci ha tolti dall’indifferenza su dolore e morte
Stefano Gheller
«In questo momento il nostro cuore è turbato perché sentiamo che ci viene a mancare un amico, un fratello che ci ha tolti dall'indifferenza e ci ha quasi obbligati a guardare in faccia la malattia, il dolore, la morte». Lo ha detto il vescovo emerito di Vicenza, Beniamino Pizziol, celebrando le esequie di Stefano Gheller, nella chiesa di Cassola, in provincia di Vicenza.
Gheller, 50 anni, affetto da tempo da una grave forma di distrofia muscolare facio-scapolo-omerale ereditata dalla madre, aveva ottenuto l’anno scorso dalla Sanità del Veneto l’autorizzazione di essere accompagnato al suicidio assistito, anche se poi la morte è sopraggiunta per il progredire della sua malattia. «Noi lo consegniamo al Signore della Vita perché lo accolga nella sua dimora di luce e di pace, con tutte le sue domande, i suoi progetti e con il suo grande cuore» ha detto monsignor Pizziol. In chiesa, fra gli altri, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, l’assessore regionale alla Aanità Manuela Lanzarin, i dirigenti dell’Azienda sanitaria, oltre ai familiari e a una delegazione dell’Associazione Coscioni. P
Pizziol è stato amico di Stefano, e ha accompagnato da lui anche il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, con altri vescovi. Gheller portava il respiratore artificiale ormai da 14 anni. Era affetto da distrofia muscolare – ha ricordato lo stesso vescovo – fin dall'età di 15 anni, quando aveva avvertito fatica nel camminare, nel correre, nel salire le scale. Da allora la maggior parte della sua vita è trascorsa su una sedia a rotelle, assistendo a una lenta ma progressiva limitazione della propria autonomia fisica. Nei primi anni dalla comparsa della malattia la cura da parte del papà, della mamma e della sorella Cristina, la vicinanza di tanti amici e dei compagni di scuola avevano reso sostenibile il decorso della patologia. «Ha vissuto questo periodo con serenità, circondato da affetto e simpatia, prendendosi cura della sua formazione culturale e sviluppando interessi per la musica, i concerti, tutto però racchiuso nell'ambito della vita familiare – ha ricordato ancora monsignor Pizziol –. Dal 2019 ha deciso di uscire da questa riservatezza per rendere pubblica e manifesta la sua malattia, pensando alle numerose altre persone che, in modi diversi, vivevano situazioni simili. A partire da quella decisione è iniziata la nostra amicizia, i nostri incontri e il nostro dialogo, improntati sul rispetto reciproco, nonostante una visione diversa sul senso del dolore e della morte». Il vescovo ha evidenziato che sul senso della vita c'era però grande consonanza: «Stefano amava la vita, era circondato da tanti amici, con i quali amava trascorrere del tempo all’aria aperta. E anche attraverso il computer, che sapeva usare con destrezza, riusciva a dialogare con tante persone, confidare i suoi progetti, i suoi sogni e anche le sue delusioni». La sua casa era diventata un luogo di incontri, di riflessioni e di confronto. Lo hanno visitato persone del mondo religioso, politico, sanitario, civile, associativo. «Gli ho fatto visita più volte, ma la visita che più mi è rimasta impressa è quella compiuta insieme ad altri tre vescovi della Conferenza episcopale del Triveneto – ha confidato Pizziol –. Abbiamo ascoltato quanto Stefano aveva messo per iscritto e che ci aveva pregato di consegnare a papa Francesco. Abbiamo dialogato in sincerità di cuore e di mente. In questi anni Stefano, con i suoi interventi, ci ha sollecitati a riflettere sul senso della vita, della sofferenza, della morte».
Dopo aver commentato le letture della Messa, il vescovo emerito di Vicenza ha ringraziato «tutti coloro che si sono fermati, che hanno trovato il tempo, i modi per farsi vicini al nostro amico Stefano. C'è stata una notevole convergenza di persone, a partire dalla sorella Cristina, dalla collaboratrice familiare, i condomini, i parroci della comunità cristiana, gli amici e poi i responsabili dell'amministrazione comunale, della Regione, dell’Ulss pedemontana, delle associazioni e del volontariato». Ha quindi ricordato che «il nostro fratello Stefano è stato battezzato, si è formato nella comunità cristiana. Lungo il corso della vita, la fede può attenuarsi, a volte, oscurarsi o addirittura perdersi. Ma non si oscura mai e tantomeno viene a mancare l'amore di Dio: Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvi».
A margine del rito funebre, il presidente Zaia ha puntualizzato che «Stefano non ha fatto politica, si è occupato della libertà. Della libertà, come dico sempre, si è occupata una persona che era prigioniera del suo corpo».