Vita

Il dibattito. Utero in affitto «accettabile»? «No, è schiavitù»

mercoledì 20 gennaio 2016

«Nel pieno del dibattito sulle unioni civili e il nodo della stepchild adoption che, di fatto, avalla l’utero in affitto, stridono oltremisura le affermazioni di Umberto Veronesi sul settimanale Oggi. Sostenere che nella maternità surrogata non vi sia "nulla di deprecabile" e che, anzi, sia "un’occasione per le donne non abbienti di migliorare il proprio tenore di vita" risulta davvero inconcepibile in bocca a un medico che ha dedicato la sua professione a salvare la vita delle donne e, grazie a tecniche innovative, a rispettare il più possibile la loro femminilità»: è il commento di Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’associazione Scienza & Vita, sulle avventate (ma certamente esplicite e chiare) dichiarazioni del celebre oncologo sulla sostanziale liceità dell’utero in affitto, che nel suo ragionamento privo di risvolti etici finisce per essere, anzi, pratico e persino raccomandabile. «Rileviamo con amarezza – aggiunge la presidente dell’associazione – non solo l’ennesima prova della sua antiumanistica impostazione morale, che già avevamo avuto modo di conoscere, ma anche la sua vecchia concezione epistemologica. Le sue osservazioni infatti – con il paragonare l’utero ai muscoli di un minatore – sono l’espressione di una medicina organicistica di fine ’800 e primi del ’900 secondo cui il corpo umano è solo una somma di organi che vanno fatti funzionare singolarmente, indipendentemente da una visione d’insieme. È noto come invece sia ormai assodata una visione olistica del corpo umano che "vive" grazie a un’interazione di tutti gli organi, coordinati dall’organo-guida, il cervello, e il cui equilibrio d’insieme rappresenta il "vivente" e la sua personalità». «In una manciata di righe – conclude Paola Ricci Sindoni – Veronesi riesce nell’impresa di giustificare persino la schiavitù attraverso il modello utilitarista che prospera sotto l’egida del "se si può pagare per farlo, allora si può fare", e, allo stesso tempo, a smentire la sua opera di medico attento alla salute e alla dignità delle donne. Con queste dichiarazioni, più che un "umanista" rappresenta una concezione della scienza ormai desueta e del tutto superata».

Risponde a Veronesi anche il senatore Lucio Romano (Demos), medico, a sua volta ex presidente di Scienza & Vita: «Di questo passo qualcuno potrà affermare, a certe condizioni, anche l’utilità della schiavitù». A certe condizioni, perché Veronesi ha cercato di attenuare la portata della sua dichiarazione. «L’argomento è molto delicato – affermava Veronesi – perché trascina con sé tutta una serie di implicazioni giuridiche, etiche, politiche e psicologiche, di cui non sottovaluto la complessità, a partire dal fatto che c’è un alto rischio di mercificare il corpo della donna "portatrice"». Nonostante ciò il celebre oncologo non esita a dire che la maternità surrogata «può essere un’occasione per le donne non abbienti per migliorare sensibilmente il proprio tenore di vita, per aiutare i figli a pagarsi gli studi». «Sconvolgente», replica Romano, «evidentemente a nulla sarebbero servite le battaglie per il riconoscimento della naturale dignità e diritti di ogni donna». Romano parla, infine, con rammarico, di come «la coscienza intermittente di alcuni, che propongono un inammissibile vulnus alla dignità della donna, possa orientare in malo modo l’opinione pubblica verso un grado zero dei diritti».

Nel dibattito sull’approccio "pragmatico" di Veronesi all’utero in affitto – in realtà, un’umiliazione della dignità femminile, una riduzione della maternità a semplice produzione e del bambino a merce – interviene anche l’Associazione medici cattolici (Amci) attraverso il suo consigliere nazionale Stefano Ojetti. Dopo le affermazioni di Umberto Veronesi, afferma in un comunicato, «si rimane perplessi e sconcertati su quelli che non possono essere definiti come valori confessionali ma piuttosto come valori etici universali, sociali e appartenenti in toto all'universo femminile. Ciò che di più lascia sgomenti è che ad affermarlo sia un illustre clinico che ha fatto della difesa dei diritti dei malati un suo baluardo ideologico. Il rendere una donna come puro corpo mercificato per ottenere un vantaggio economico non la discosta molto dalla vendita di se stessa e rende nel contempo avvilente anche il lavoro di tanti minatori che hanno pagato con la propria vita l'unica possibilità di dare del pane alla propria famiglia». Ojetti giudica l'utero in affitto «quanto di più avvilente, abietto e triste per una donna la quale per sopravvivere, in una sorta di schiavitù a favore del mondo occidentale, sia costretta a sottoporsi a un "canone" così remunerativo ma così terribilmente umiliante per il genere femminile».