Bioetica. Uteri in affitto, Corte di Strasburgo contro l’Italia
Seme paterno e ovocita materno non appartenevano ai genitori. Il grembo che ospitò la gravidanza era stato affittato. Il bambino era nato in Russia, Paese dove la maternità surrogata è consentita, proprio perché in Italia questa pratica degradante è vietata per legge. Il tentativo di far entrare nel nostro Paese il bambino facendolo credere figlio loro era stato effettuato con una procedura contraria all’ordinamento italiano. Ma nonostante questa sequela di illegalità la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha dato ragione a una coppia italiana e ha condannato l’Italia, sebbene solo a un’ammenda dal valore sostanzialmente simbolico. Tanto è bastato però per scatenare la fantasia di chi ha creduto di vedere nel verdetto dei giudici espressione del Consiglio d’Europa l’ingiunzione all’Italia di legalizzare l’utero in affitto. Niente di più sbagliato. Esprimendosi sul ricorso di due coniugi molisani la Corte europea ha infatti stabilito che l’Italia violò l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) quando dispose che il bambino, nato il 27 febbraio 2011 con fecondazione eterologa e utero in affitto grazie al contratto con una società specializzata russa (la Rosjurconsulting), non essendo figlio della coppia andasse sottratto alla loro tutela e affidato a un’altra famiglia con la quale vive dal 2013 (mentre era rimasto sei mesi con i due aspiranti genitori che l’avevano commissionato alla società russa). La decisione di Strasburgo, assunta a maggioranza, non riguarda tuttavia il divieto di maternità surrogata previsto dalla legge 40 e recentemente confermato con forza dalla Corte Costituzionale proprio nella sentenza con la quale ha invece eliminato il divieto di fecondazione eterologa. Il provvedimento, che prevede una sanzione di 20mila euro per danni morali a carico dello Stato italiante alla decisione dei tribunali no ma non cambia la vita del bambino che resterà con la famiglia cui è oggi affidato, è infatti riferito esclusivameitaliani di allontanare il bambino dalla coppia committente. Un paradosso che getta una nuova ombra sui criteri adottati dai giudici di Strasburgo nel valutare materie sensibili disciplinate chiaramente da leggi nazionali. Dal canto loro i tribunali italiani stanno seguendo una linea di condotta molto ambigua nel giudicare sui casi di maternità surrogata che coinvolgono coppie italiane all’estero. Se infatti è già accaduto in almeno due casi che il figlio ottenuto con gameti estranei alla coppia sia stato poi sottratto ai due non essendo biologicamente legato a loro in alcun modo se non attraverso un contratto di compravendita, nei casi in cui invece il patrimonio genetico appartiene a uno dei due genitori committenti i giudici italiani hanno "sanato" l’illegalità lasciando il figlio ai due e non applicando la legge «nell’interesse del minore». Una legalizzazione di fatto della maternità surrogata, assai pericolosa, che nella sentenza europea oggi però non trova una legittimazione giuridica. Il pronunciamento di Strasburgo peraltro ha visto dividersi il collegio giudicante, col magistrato italiano Guido Raimondi contrario perché convinto che esso neghi agli Stati la possibilità di non riconoscere legalmente la maternità sostitutiva. Il giudice italiano, insieme a quello islandese, spiega che «se è sufficiente creare all'estero un legame illegale con un neonato per obbligare le autorità del proprio Stato a riconoscere l'esistenza di una vita familiare, è evidente che la libertà dei Paesi di non riconoscere gli effetti giuridici del ricorso alle madri surrogate – libertà che tuttavia la giurisprudenza della Corte riconosce – è ridotta a nulla». A partire da questo argomento il governo italiano dovrebbe impugnare la sentenza davanti alla Grande Chambre, l’istanza europea di secondo grado che emette verdetti definitivi.