Vita

Usa. Un anno fa la sentenza della Corte Suprema. «60mila aborti in meno»

Francesco Ognibene sabato 24 giugno 2023

Un anno dopo la sentenza «Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization» con la quale la Corte Suprema di Washington il 24 giugno 2022 cancellò il suo storico verdetto «Roe vs Wade» del 1973 sopprimendo il “diritto federale di aborto” e lasciando piena sovranità in materia ai singoli Stati, la situazione negli Usa si è fatalmente molto complicata e radicalizzata, tanto da far parlare di “Stati Disuniti d’America”. I parlamenti locali hanno preso alla lettera la sentenza approvando nuove leggi o modificando quelle vigenti, in un senso o nell’altro, mentre il dibattito sui limiti per accedere all’aborto si è molto polarizzato, così come le scelte politiche e legislative degli Stati. «Di rado – ha scritto il quotidiano Usa Today – una decisione della Corte Suprema ha avuto un impatto così profondo e così rapido sulla vita di così tante persone».
Fino alla sentenza di un anno fa era di fatto possibile a qualunque donna in tutti gli States l’aborto fino a quella che la legge italiana definisce «vita autonoma del feto», cioè tra le 22 e le 24 settimane, per effetto della sentenza del 1992 con cui sempre la Corte Suprema decise sulla controversia Casey-Planned Parenthood. Per effetto del verdetto Dobbs di un anno fa la situazione giuridica dell’aborto nel territorio statunitense si è fatta quantomai variegata, con 14 Stati che hanno introdotto significative limitazioni, e un totale di 24 nei quali l’accesso all’interruzione di gravidanza è condizionato. Il che, tuttavia, vuol dire che in altri 26 di fatto non esistono limitazioni rilevanti e si può parlare di un “diritto di abortire” senza alcuna restrizione significativa né condizioni, né pause di riflessione, fino alla 24esima settimana. In una ventina di Stati l’aborto è stato protetto con leggi. California, Colorado, Minnesota, Nuovo Messico e New York accolgono le donne provenienti da Stati dove la procedura è soggetta a limiti e condizioni.
Dal 24 giugno 2022 in pratica non c’è giorno che in America non si sia discusso di aborto con grande energia, a livello centrale e locale. L’effetto è stato registrato da un recente sondaggio Gallup dal quale emerge che il 69% degli americani ritiene che «l'aborto dovrebbe generalmente essere legale nei primi tre mesi di gravidanza», quindi ben al di sotto del limite federale antecedente alla sentenza. Se dunque gli americani sono in maggioranza favorevoli alla presenza di leggi che consentano di abortire ma non oltre i 90 giorni, per il 34% – un terzo del campione – l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere legale in qualsiasi circostanza. Quando la domanda si sposta sull’accettabilità morale dell’aborto, gli americani si dividono – oggi, e da sempre – quasi perfettamente a metà: a favore è il 52%, che comunque è il dato più alto della serie storica.
Assai sensibile agli umori dell’opinione pubblica, la politica americana – in perenne fibrillazione elettorale, e ormai nell’orbita del voto presidenziale del novembre 2024 con lo schierarsi dei primi candidati – sta puntando sull’aborto come tema centrale della campagna elettorale. E se i democratici spingono sulla contestazione dei limiti introdotti dagli Stati a guida repubblicana, continuando a delegittimare la sentenza della Corte Suprema (che conta una maggioranza di giudici di nomina conservatrice), a partire dal presidente Biden, tra i repubblicani sembrano convivere un’anima più possibilista, che cerca di intercettare il voto di chi non è contrario di principio all’aborto ma chiede comunque limitazioni, e i più decisi a voler introdurre vincoli. Fanno comunque riflettere gli ampi successi elettorali nei rispettivi Stati di questi ultimi: Brian Kemp in Georgia e Ron DeSantis in Florida, il secondo a oggi il più serio rivale di Donald Trump per la nomination repubblicana.
I dati demografici dicono che due donne su cinque di età compresa tra i 15 ed i 44 anni vivono in Stati dove ci sono più restrizioni rispetto all'anno scorso, mentre oltre 5 milioni e mezzo vivono in Stati dove le restrizioni approvate sono in attesa di una decisione da parte di un tribunale.
Ma che effetto ha prodotto sugli aborti la sentenza su scala nazionale? Secondo uno studio della Society of Family Planning, ripreso dal New York Times, gli aborti sono diminuiti dagli 82mila al mese prima della sentenza di un anno fa a 77mila: un calo che proiettato su un anno dice che ci sarebbero stati 60mila aborti in meno per effetto della decisione della Corte Suprema. Resta comunque imponente il numero complessivo delle interruzioni di gravidanza, stimate – in assenza di un dato ufficiale – in 924mila in un anno (in Italia sono 67mila con una popolazione di 60 milioni di abitanti, contro i 330 milioni degli Usa).
«Un anno fa la Corte Suprema ha tolto un diritto costituzionale al popolo americano, negando alle donne di tutta la nazione la possibilità di scegliere. Ribaltare Roe vs Wade ha già avuto conseguenze devastanti»: è il giudizio espresso dal presidente Joe Biden in una dichiarazione per il primo anniversario della sentenza. «Gli Stati – ha proseguito – hanno imposto divieti estremi e pericolosi che mettono a repentaglio la salute e la vita delle donne, le costringono a viaggiare per centinaia di miglia per curarsi e criminalizzano i medici per aver fornito l’assistenza sanitaria di cui i loro pazienti hanno bisogno». Biden usa il tema aborto per agitare lo spettro del proibizionismo (alquanto improbabile): «I divieti statali sono solo l’inizio – attacca –. I repubblicani del Congresso vogliono vietare l'aborto a livello nazionale. La loro agenda è estrema, pericolosa e non al passo con la stragrande maggioranza degli americani». Il presidente ha promesso infine che «continuerà a proteggere i diritti riproduttivi e inviterà il Congresso a ripristinare una volta per tutte le tutele garantite dalla Roe vs Wade a livello nazionale». Intanto ha annunciato un ordine esecutivo per espandere il diritto alla contraccezione incentivando le assicurazioni sanitarie private perché offrano la copertura per i contraccettivi approvati dalla Food and Drug Administration americana.
Sul fronte opposto, ha fatto ricorso al tema aborto anche Mike Pence, ex vice presidente, annunciando la sua candidatura per i repubblicani: «Sono pro-life e non chiederò scusa per questo». La sentenza di un anno fa ha «dato all’America la possibilità per un nuovo inizio. Da presidente io sosterrò il diritto alla vita a ogni livello, negli Stati Uniti e all’estero» ha aggiunto, rivendicando che durante l’amministrazione Trump furono tagliati i fondi all’organizzazione Planned Parenthood che gestisce una rete di centri per l’aborto.