Embrioni. «Uno di noi» e Commissione europea, duello davanti alla Corte Ue
Non è atteso prima dell’autunno il verdetto sul ricorso presentato dalla Federazione europea «Uno di noi» contro l’archiviazione della petizione popolare per la tutela dell’embrione umano decisa tre anni fa dalla Commissione europea senza fornire una motivazione, e malgrado il milione e 700mila firme valide (600mila in Italia) raccolte nei 28 Paesi Ue. Martedì 16 maggio la Corte di giustizia dell’Unione europea con sede a Lussemburgo, con un collegio formato da 5 giudici, ha ascoltato Federazione e Commissione (Parlamento e Consiglio non hanno affiancato il governo europeo in questa battaglia legale). L’avvocato di «Uno di noi», l’inglese Paul Diamond, ha sostenuto le ragioni della democrazia e della necessità da parte di istituzioni rappresentative di esaminare nelle diverse sedi gli argomenti sostenuti da un così gran numero di cittadini europei che da quelle istituzioni credono di essere rappresentati e ascoltati. La Commissione dal canto suo si è trincerata dietro l’insindacabilità di decisioni riconducibili ai suoi poteri, delle quali reclama il monopolio. Una linea quasi sprezzante, che ha fatto commentare a Diamond come «la Corte ora abbia in mano il destino delle petizioni popolari». Il 12 maggio Carlo Casini - che lo stesso giorno aveva firmato un accorato appello alle istituzioni italiane ed europee perché non rinnegassero i principi ispiratori dell'Europa appena esaltati nelle commemorazioni per i 60 anni del Trattato di Roma - aveva consegnato al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani alcune migliaia di firme di scienziati, politici, medici, intellettuali dei Paesi Ue a sostegno della dignità umana del più fragile di tutti, l'embrione umano, "uno di noi".