Il direttore risponde. Unioni, dialogo tra critica e impegno: una legge sbagliata non diventi ingiusta
Gentile direttore,
la prima pagina di "Avvenire" che ha dato notizia e commentato l’approvazione delle «unioni civili» mi lascia molto perplesso: una legge può essere giusta o, in caso contrario, non potrà dirsi "sbagliata" bensì "ingiusta". Giustiniano e Napoleone (ovvero Triboniano e Portalis), ciascuno a modo suo, hanno dato alle loro culture codici di leggi che non avevano la pretesa di creare, ma solo di riconoscere al meglio, riassumere nel modo più razionale, cosa fosse giusto e il suo contrario. Restaurazione e positivismi hanno dato agli Stati la presunzione di "stabilire" cosa è giusto e cosa non lo è. Per un cristiano, il diritto è quello naturale, che la scienza giuridica può chiarire, scoprire, ma non creare. Come per la legge morale non poteva Adamo determinare cosa fossero bene e male. Il 1948 non ci ha dato abbastanza libertà da poter dire che una legge sia "ingiusta", ma solo "incostituzionale". La legge approvata ieri è incostituzionale sotto molti profili, ma soprattutto "ingiusta". Sbagliata, invece, non vuol dire niente a meno che non si volesse dire che sia politicamente inopportuna, il che interessa solo a chi con il potere ci gioca. Con molta riconoscenza per l’informazione che spesso solo il vostro giornale fornisce, i migliori saluti
Roberto de Miro d’AjetaLa sua critica, gentile professor de Miro d’Ajeta, è raffinata, l’argomentazione profonda. Ma niente affatto superficiale è anche la scelta compiuta da "Avvenire", individuando, mercoledì sera, l’aggettivo che a mio parere più fotografa e qualifica la neonata legge sulle unioni civili: «sbagliata». Si tratta di una legge sbagliata perché, nonostante l’opera di parziale riscrittura del testo iniziale compiuta al Senato, contiene errori che abbiamo indicato più volte, e che giudichiamo gravi. Ma soprattutto perché parte da una premessa corretta, che risponde all’esigenza indicata dalla Corte costituzionale nel 2010 di regolare la convivenza tra persone dello stesso sesso come specifica "formazione sociale" (art. 2 della nostra Carta) e non come "matrimonio" (art. 29), ma poi il testo se ne dimentica in più passaggi, non sviluppandola coerentemente e correttamente e persino tradendola. Sbagliata perché a onta delle assicurazioni, e secondo le intenzioni "matrimonialiste" dissimulate solo tatticamente e mai abbastanza da politici come Monica Cirinnà e Ivan Scalfarotto, è stata "blindata" nei suoi difetti dalla doppia fiducia imposta dal Governo e, così, risulta più vulnerabile alle manovre (giudiziarie ed eurogiudiziarie) per "spanciarla". Alcuni dicono che non accadrà. Vedremo.
Blindare, spanciare... Lo so, gentile professore, che i termini che ho usato non sono elegantissimi né tecnici, ma credo che aiutino tutti a capire. A capire che una legge che poteva delineare una «via italiana» alla regolazione solidale di una materia importante e delicata – regolazione e tutela indicate come necessaria dalla Corte costituzionale – è invece diventata «una legge sbagliata». Gli errori si possono correggere. O aggravare. Sino a disegnare anche in Italia, come altrove, il cosiddetto «matrimonio egualitario». In quest’ultimo caso, la «legge sbagliata» diventerà «ingiusta». È possibile, persino probabile, non inevitabile. Ora l’impegno, niente affatto facile e non solo nostro, è perché non si arrivi a quel punto. Per onorarlo non servono grida e minacce, ma ragioni e lucidità, come quelle che anche lei mette in campo. Ma soprattutto bisognerà sempre più saper coniugare chiarezza e umanità. Ai cristiani, checché dica qualcuno e qualcun altro dimostri con il proprio atteggiamento, dovrebbe riuscire bene. E comunque questo ci tocca.