Vita

La storia. Tutta la scienza che c'è per la voce di Amelia

Costanza Oliva giovedì 19 dicembre 2024

La piccola Amelia con papà Antonio e mamma Melissa

Per ogni genitore non c’è momento più bello di quello in cui finalmente il proprio figlio pronuncia le parole “mamma” e “papà”. Nel caso di Amelia, una bellissima bambina di tre anni, c’è voluto più tempo. Amelia è nata con la sindrome di Beckwith-Wiedemann, una condizione genetica rara che l’ha costretta a continui esami, diagnosi e trattamenti. A causa della malattia, la piccola ha gli organi accresciuti: un addome evidente, adenoidi e tonsille molto sviluppate che le impedivano di avere una respirazione normale e far sentire bene la sua voce. «Dopo l’operazione alle adenoidi, mi ha chiamato “papà”: è stata la voce più dolce che avessi mai sentito», racconta ancora emozionato Antonio. La sindrome di Beckwith-Wiedemann è una malattia che si manifesta alla nascita e può comportare iperaccrescimento asimmetrico, come un arto più lungo dell’altro, difetti della parete addominale e macroglossia, cioè la lingua più grossa. «Tendenzialmente sono aspetti correggibili, ciò che preoccupa maggiormente è che questi bimbi hanno un rischio più elevato di sviluppare patologie tumorali nei primi dieci anni di vita», spiega Andrea Riccio, professore dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e ricercatore dell'Istituto di Genetica e Biofisica Adriano Buzzati Traverso del Cnr, che lavora su questa patologia da una trentina d’anni.

Quando Riccio ha iniziato non si sapeva quasi nulla di questa malattia: è stato il primo in Italia a occuparsene, e ha potuto continuare a farlo grazie al sostegno e al finanziamento di Fondazione Telethon. «La Beckwith-Wiedemann è diversa dalle altre malattie genetiche perché a causarla non sono mutazioni classiche di sequenze del Dna ma mutazioni epigenetiche, cioè sovrapposte alla sequenza stessa», precisa Riccio. Inoltre, mentre le mutazioni genetiche solitamente vengono ereditate dai genitori, quelle epigenetiche insorgono nella fase iniziale di sviluppo dell’embrione. Se grazie ad anni di ricerche si è arrivati a identificare questi difetti epigenetici molecolari, ora l’obiettivo è capire la causa che fa insorgere queste mutazioni. «Recentemente abbiamo scoperto che c'è un legame con alcune forme di infertilità femminile, e al momento stiamo lavorando proprio su questo legame attraverso l’uso di un modello animale nel quale siamo andati a ricercare quelle mutazioni epigenetiche tipiche della sindrome di Beckwith-Wiedemann», racconta il ricercatore. Riuscire a identificare qual è il meccanismo alla base della loro origine è fondamentale per trovare farmaci che possano contribuire a prevenire le mutazioni.

Lo studio a cui lavorano Riccio e il suo team è uno degli oltre 3mila progetti di ricerca finanziati da Fondazione Telethon, che hanno permesso di studiare 637 malattie genetiche rare. Un impegno costante per la ricerca scientifica, in cui sono stati investiti 698 milioni grazie ai fondi raccolti in 35 anni e che hanno permesso di ottenere progressi fondamentali per molte patologie altrimenti trascurate. Da un anno circa, inoltre, Telethon ha ampliato la sua attività iniziando a produrre trattamenti e farmaci che le industrie farmaceutiche hanno abbandonato per scarso interesse commerciale. «Telethon è stata cruciale per il nostro lavoro – sottolinea Riccio –. Le malattie rare sono tante e i ricercatori che se ne occupano sono pochi: senza fondi, sarebbe impossibile andare avanti». Per sostenere la ricerca Fondazione Telethon sta organizzando come ogni anno una maratona sulle reti Rai, che si concluderà il 22 dicembre. La campagna, oltre alle reti televisive, è presente su tutti i canali di comunicazione e nelle piazze.

In oltre 4.500 punti di raccolta in tutta Italia, infatti, il 21 e 22 dicembre è stato possibile acquistare i “Cuori di cioccolato” di Telethon: cofanetti di cioccolatini al latte o fondenti che oltre essere un regalo natalizio rappresentano un aiuto concreto. È solo grazie alla ricerca se oggi Amelia e i suoi genitori oggi hanno delle risposte. «Quello di Amelia è un caso tipico – spiega Riccio –: essendo una malattia rara poco conosciuta la maggior parte dei medici che si incontrano all’inizio non hanno idea di che cosa si tratti. Le famiglie vanno quindi incontro a una vera e propria odissea prima di identificare la malattia».

È stato esattamente così anche in questo caso: la diagnosi è stata un percorso in salita, pieno di incertezze e angosce. Quando Amelia aveva solo un anno, ha cominciato ad avere episodi di apnee notturne, il viso era pallido, l’addome gonfio e si ammalava frequentemente. Ha smesso di andare al nido, che frequentava da soli tre mesi, per poter fare tutti gli accertamenti necessari. «Il gonfiore della pancia ci aveva spinti a cercare risposte – ricordano Antonio e Melissa –, senza sapere che fosse una delle caratteristiche della sindrome di Beckwith-Wiedemann. Come genitori eravamo allarmati». Pensavano che potesse trattarsi di allergie, intolleranze o problemi legati al glutine. «Avevamo fatto diverse visite specialistiche da allergologi e gastroenterologi, effettuato radiografie ed ecografie, ma nessuna delle indagini portava a una risposta chiara», racconta la mamma di Amelia.

Dopo mesi di preoccupazioni per il ventre gonfio e le difficoltà respiratorie, i genitori hanno deciso di rivolgersi all’Ospedale Buzzi di Milano, dove Amelia è stata ricoverata per essere monitorata. Lì una giovane pediatra, Matilde Ferrario, intuisce che Amelia poteva essere affetta dalla sindrome di Beckwith-Wiedemann. A febbraio 2023 il test genetico conferma la diagnosi, che Antonio e Melissa accolgono come una «sentenza», ma che allo stesso tempo dà loro un “senso” ai problemi che stavano vivendo in quel momento. Ora Amelia è stabile, continua a ballare non appena parte la musica, e “volare” tra le braccia di mamma e papà. La strada da fare è ancora lunga, ma è una strada che punta al futuro. «Guardando indietro, ci rendiamo conto di quanto sia stato importante l'aiuto che abbiamo ricevuto, sia dai medici che dalle associazioni – ricordano Antonio e Melissa –. A Fondazione Telethon rivolgiamo una parola semplice e immensa: grazie».