Vita

INTERVISTA A PECCATORI. Tumori in gravidanza: salvare madre e figlio si può

Emanuela Vinai giovedì 26 aprile 2012
Gravidanza e cancro. Binomio impossibile, su cui si giocava la più inumana delle scelte: chi salvare, la madre o il figlio? «Oggi però si può preservare la gravidanza e curare la mamma: dal punto di vista etico è anche la scelta migliore». A parlare è Fedro Alessandro Peccatori, direttore dell’Unità di fertilità e procreazione in oncologia dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo), che sfata il tabù del bivio terapeutico. «Nella maggior parte delle situazioni un aborto non migliora gli esiti oncologici e, allo stesso tempo, quando si decide di portare avanti la gravidanza, non serve scegliere di non curarsi». Secondo i dati presentati al meeting «Cancer and pregnancy», si stima che una gravidanza su mille sia complicata da una neoplasia e ogni anno, in Italia, quasi 600 donne si trovano contemporaneamente ad affrontare la gioia più grande e la prova più amara. Ma grazie ai progressi della ricerca, allo sviluppo delle terapie e alla maggiore consapevolezza della diagnosi, le future mamme che si scoprono affette da tumore non sono più costrette a scegliere tra sé e il bambino. Soprattutto quando il figlio arriva tardi, vista la correlazione tra l’aumento dell’incidenza del cancro in gravidanza e il fattore età. «In Italia il tumore più frequente in gravidanza è il tumore alla mammella – spiega Peccatori –. È un tipo di neoplasia che risente dell’età della paziente. I dati sono confermati dagli studi epidemiologici: negli ultimi 10/20 anni si è assistito a un aumento di carcinomi mammari in gravidanza statisticamente riconducibili allo spostamento in avanti dell’età in cui le donne decidono di fare un figlio. Dopo i 40 anni, ogni anno in più aumenta l’incidenza della neoplasia».
A fronte di un evento devastante per la vita di ogni donna, soprattutto quando si presenta in un momento unico come quello della gravidanza, i criteri di intervento si giocano su più piani. «Il discorso è complesso – chiarisce l’oncologo – perché dipende da molti fattori, quali l’età gestazionale, l’età della paziente, il tipo di neoplasia e lo stadio della malattia. In linea di massima e quando possibile, il nostro obiettivo è curare la mamma e preservare la gravidanza, nel rispetto delle scelte della paziente. A fronte della spinta generale a terminare la gravidanza, preferiamo pensare che sia il tumore a dover essere terminato». Né aborto, né sacrificio estremo, ma opzioni di trattamento mirate che possono essere portate avanti senza compromettere le possibilità di sopravvivenza della madre o la salute del figlio in grembo. Con alcune opportune precisazioni: «La chirurgia è quasi sempre praticabile senza complicazioni, mentre la chemioterapia è da utilizzare solo dopo il primo trimestre, per evitare malformazioni al feto derivanti dai trattamenti farmacologici, ma dopo la 14ª settimana è una terapia sicura».
Per la radioterapia il discorso è più complesso, e la controindicazione è più forte: «Si può eseguire localmente se il tumore è lontano dal feto e finché questo è ancora poco sviluppato. Le pazienti con tumore in gravidanza vanno comunque seguite da personale esperto in un centro specializzato che abbia creato una rete di competenze multidisciplinari». E non è solo una questione di gestione tecnica: ci vuole empatia, compartecipazione, rispetto. «La paziente va sostenuta in ogni momento e in ogni scelta – raccomanda Peccatori – e sul medico grava la responsabilità di fornire l’informazione corretta e migliore per la salute della madre e del bambino. Una responsabilità enorme, perché i medici hanno un grande potere di indirizzo nelle scelte terapeutiche. L’asimmetria informativa raggiunge i massimi livelli in un contesto in cui uno dei tre soggetti, come il feto, non ha voce». Il tutto conciliando l’urgenza della decisione con l’ostilità del fattore tempo: «In molte neoplasie l’attesa anche di alcune settimane è compatibile con l’efficacia della cura. Ci sono situazioni molto difficili, in cui le condizioni della madre sono in rapido peggioramento. Ma in ogni caso non è la fretta che deve dettare i tempi, perché è sullo slancio della paura e dell’incertezza che si prendono le decisioni più intempestive». E irrevocabili.