Il caso. Trentini-Cappato, un altro «processo-Fabo»? Ora in gioco c’è l’eutanasia
Davide Trentini, sulla sedia a rotelle, malato di Sclerosi multipla e morto in Svizzera nel 2017 per suicidio assistito, accompagnato dal leader radicale Marco Cappato
Con il servizio firmato dalle Iene e andato in onda l’altra sera – un vero e proprio spot pro eutanasia –, si sono riaccesi i riflettori sul processo a Marco Cappato e Mina Welby, rispettivamente tesoriere e co–presidente dell’Associazione radicale Luca Coscioni, accusati di aver aiutato a morire nel 2017 in una “clinica” svizzera Davide Trentini, affetto da sclerosi multipla. Il processo è radicato presso il tribunale di Massa Carrara, dove l’ex barista viveva, e – per quanto se ne sappia – sarà il primo a essere deciso dopo la sentenza 242/2019 della Consulta, che ha parzialmente rimosso il divieto di assistenza nel suicidio (posto dall’articolo 580 del Codice penale): un procedimento, quest’ultimo, voluto dallo stesso Cappato, autodenunciatosi sempre nel 2017 dopo aver accompagnato a farla finita oltreconfine Fabiano Antoniani (dj Fabo). Proprio perché, grazie anche alla Consulta, l’esponente radicale è stato assolto, verrebbe naturale pensare che l’esito del processo toscano non possa essere diverso. Ma non è detto che sia così.
Con la sentenza 242, infatti, i giudici costituzionali hanno subordinato l’antigiuridicità del divieto di suicidio assistito alla presenza di stringenti condizioni: malattia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psichiche ritenute intollerabili, capacità di assumere decisioni libere e consapevoli, sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale, avvenuta erogazione di un ciclo di cure palliative così come di adeguato sostegno psicologico. Dal momento dunque che Trentini non era sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, l’apertura della Consulta operata con dj Fabo non sembrerebbe potersi imboccare. Rimane tuttavia un interrogativo: sempre nella sentenza 242, la Corte stabilisce che – nei casi di assistenza al suicidio avvenuti prima di questa pronuncia – i giudici, per assolvere, non debbano accertare alla lettera la presenza di queste condizioni, ma solo valutare se dai fatti accaduti emergano o meno «garanzie equivalenti». La partita resta dunque aperta.
Intanto, in vista della prossima udienza l’8 luglio, è sceso in campo ieri il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme: «Il tema – ha scritto in un comunicato Federico D’Incà (M5s) –, merita per la sua delicatezza la massima attenzione». Per questo «mi riservo di seguire attentamente, per quanto di mia competenza, gli sviluppi della questione». Cappato accusa le Camere, a suo dire «irresponsabilmente» inerti nel non calendarizzare la proposta di legge d’iniziativa popolare – ma ispirata dalla Coscioni – depositata alla Camera nel 2013. Sarebbe un passo ancora più in là rispetto alla (parziale) legalizzazione dell’assistenza nel suicidio.