Vita

Bioetica. Tre Dna, un figlio: non superiamo quella soglia

Roberto Colombo giovedì 12 febbraio 2015
La tecnologia riproduttiva approvata la settimana scorsa dalla Camera dei Comuni del Regno Unito non rappresenta solo una variante della fecondazione in vitro che da oltre 35 anni viene applicata alle coppie infertili. Non si tratta di una miglioria micro-manipolativa come l’iniezione intracitoplasmatica dello sperma (Icsi), introdotta nel 1992 per consentire la fertilizzazione anche in caso si gravi difetti del gamete maschile, come la teratozoospermia e l’astenozoospermia. E neppure di una nuova tecnica di diagnosi genetica pre-impianto per l’identificazione e la selezione degli embrioni "sani" da trasferire in utero. Se così fosse, la riflessione antropologica ed etica non potrebbe che limitarsi a ribadire un giudizio (severo) sulla dissociazione tra l’atto personale d’amore dei coniugi, che è al servizio della vita umana nascente, e la generazione di un figlio, attuata da ogni forma di fecondazione extracorporea. E, nel secondo caso, a riaffermare la violazione del diritto alla vita di ogni embrione, a prescindere dalle sue "qualità" fisiche, dal suo stato di salute e dalle modalità del suo concepimento. Invece, la manipolazione di due ovociti con scambio di genoma mitocondriale prima delle fertilizzazione di uno di essi solleva ulteriori e gravi questioni che attengono all’identità genetica del nascituro, all’introduzione di una nuova figura "genitoriale", e al rischio biologico connesso al trasferimento del delicato nucleo femminile, ancora in divisione meiotica, e alle interazioni dell’espressione genica nucleare con quella mitocondriale. Per comprendere la natura e la rilevanza di questi interrogativi – che hanno fatto cadere sulla decisione della Camera britannica una pioggia di critiche da parte di scienziati, medici, bioeticisti e giuristi – occorre distendere alcune considerazioni.
Non è una novità che l’ovocita, prima della fecondazione in vitro, venga selezionato (solo alcuni tra i prelevati dall’ovaio sono fertilizzati), micromanipolato (per esempio, la cosiddetta "decoronizzazione", per togliere le cellule follicolari della corona radiata) e, in alcuni casi, anche sottoposto a trattamenti che promuovono la maturazione del gamete e la capacità di sviluppo precoce dell’embrione. Ma nel caso della tecnica messa a punto nel 2010 dall’équipe di Douglass Turnbull all’Università di Newcastle, si va ben oltre, operando un trasferimento di quasi tutto il patrimonio genetico dell’aspirante madre nell’ovocita enucleato di un’altra donna, ovocita che contiene ancora una piccola ma significativa parte del genoma di questa donna "donatrice citoplasmatica", quello legato agli organelli chiamati mitocondri. La tecnica dell’enucleazione e del trasferimento nucleare è simile a quella della clonazione, con la differenza che circa metà del patrimonio genetico dell’embrione verrà comunque fornita successivamente dallo sperma del padre, come avviene della forma ordinaria della fecondazione in vitro. Resta il fatto che l’identità genetica del figlio sarà determinata dal contributo di tre soggetti – due donne e un uomo – anziché una madre e un padre. Poiché il rilievo antropologico del contributo del genoma genitoriale alla filiazione come atto generativo umano non è quantitivo ma qualitativo, l’osservazione che il Dna mitocondriale esprime solo 37 geni rispetto alle decine di migliaia di quello nucleare non esime la tecnica di Turnbull dalla critica di manipolazione del genoma umano che altera deliberatamente e permanentemente l’identità genetica del figlio.La "donatrice di citoplasma" (il citoplasma è la parte dell’ovocita che contiene i mitocondri, strutture cellulari naturalmente trasmesse ai figli per via materna) non costituisce una figura "geneticamente neutrale" nel processo generativo. In ragione di quanto sopra ricordato, essa rappresenta invece una forma di contributo eterologo alla procreazione, che espande ulteriormente il quadro delle "figure genitoriali", frammentando e decostruendo l’unità antropologica dei due uomo-donna che sono chiamati a generare nella carne un nuovo soggetto di pari dignità con un atto umano unico e univoco.
Infine, occorre ricordare come gli studi sulla eteroplasmia (la presenza di organelli di diversa origine nella stessa cellula), sul trapianto di citoplasma (contenente i mitocondri) da una cellula all’altra, e, infine gli studi sull’animale clonato per trasferimento di nucleo hanno evidenziato come l’espressione genica del Dna mitocondriale interagisce in modo complesso, attraverso cascate epigenetiche in larga parte ancora sconosciute, con quella del Dna nucleare. Per il buon funzionamento del nostro corpo le due componenti del nostro patrimonio genetico devono "dialogare" tra loro in modo sinfonico. Eventuali squilibri possono avere ripercussioni imprevedibili e incorreggibili nel corso della vita del figlio. Di fronte a questi interrogativi sollevati da numerosi ricercatori e medici il "principio di precauzione" dovrebbe suggerire grande cautela nel considerare la possibilità di manipolare geneticamente il gamete femminile variandone il contenuto mitocondriale, in modo da non correre il serissimo rischio di proporre una soluzione per evitare la trasmissione di alcune malattie genetiche che possa comportare un danno irreparabile per la vita e la salute del figlio.