Vita

Trapianti. L'effetto Green non basta più: ora serve il "silenzio assenso"

Massimo Iondini martedì 1 ottobre 2024

Nicholas, Maggie e Reginald Green

Effetto Nicholas. Si chiamò così l’impennata insospettabile di donazioni d’organo che ci fu in Italia trent’anni fa. Per far maturare una nuova coscienza collettiva servì una tragedia. Spesso è così. Bisogna sbattere la testa per avere un sommovimento del cuore. Servì il sangue innocente di un bambino.

Lo statunitense Nicholas aveva nove anni e stava facendo un viaggio in Italia con la sua famiglia. Era seduto sul sedile posteriore dell’auto accanto alla sorellina Eleonor di 4 anni. Davanti, papà Reginald e mamma Margareth. Vicino all'uscita di Soriano Calabro, presso Vibo Valentia, sulla Salerno-Reggio Calabria, la loro Autobianchi Y10 fu scambiata da alcuni rapinatori (affiliati alla ‘ndrangheta) per quella di un gioielliere locale e venne crivellata di colpi. Nicholas fu colpito alla testa e passò dal sonno alla morte. Ma non subito. Venne ricoverato al centro neurochirurgico del Policlinico di Messina, dove morì pochi giorni dopo, il 1º ottobre 1994, esattamente trent’anni fa.

Alla sua morte, Reginald e sua moglie autorizzarono il prelievo e la donazione degli organi. A beneficiarne furono sette persone italiane: tre adolescenti e due adulti, mentre altri due riceventi riacquistarono la vista grazie al trapianto delle cornee. Da allora Reginald, che oggi ha 95 anni e con Margareth nel 1996 ha avuto i gemelli Martin e Laura, è venuto in Italia diverse volte, spesso in occasione delle innumerevoli intitolazioni a Nicholas di asili, parchi, vie, piazze, strade, edifici. Ha voluto trascorrere in Italia il trentennale del tragico ma salvifico evento. Il 2 ottobre saluta il nostro Paese, prendendo il volo per Los Angeles. Ma addio non sarà mai, non può essere. Suo figlio Nicholas è presente in Italia più che mai, vi è radicato. Con il suo sangue innocente, con il suo dono. Che non è stato soltanto di alcune parti di sé che hanno continuato a vivere in altre persone, ma è nel tessuto profondo di una Nazione che grazie a lui è cresciuta passando da fanalino di coda in Europa nella donazione di organi a Paese quasi capofila.

Certo, la strada da percorrere è ancora lunga, perché la diffidenza da parte di troppe persone è dura a morire. Ecco perché ci si batte ora perché intervenga direttamente il principio del silenzio-assenso. Ovvero la non necessità di ottenere un consenso scritto da parte dei congiunti di chi muore. Del resto, non ci vuole molto a comprendere quanto la donazione sia un gesto che non soltanto non costa nulla ma, anzi, può trasformare l’ineluttabile fine in una nuova vita e nella realizzazione di una speranza per un’altra persona. La donazione è amore puro. Quello sublime manifestato ed espresso concretamente trent’anni fa esatti da due genitori che avevano appena brutalmente perso un figlio di nove anni.

Così l’effetto Nicholas è diventato anche l’effetto Reginald e l’effetto Maggie. Due eroici genitori che ancora in questi giorni hanno percorso in lungo e in largo l’Italia. Non odiata perché terra di morte di un figlio, ma amata come occasione di eterna rinascita in mille e mille vite generate dal loro coraggio e dalla loro forza interiore. In questo loro quasi certo ultimo viaggio qui da noi, hanno avuto la compagnia di amici incontrati allora, nei giorni del buio più nero, come la dottoressa Anna Mazzeo del Policlinico di Messina, e sono stati ospiti di diversi ospedali come quello di Catania, il Bambino Gesù di Roma e il Niguarda di Milano. Qui sono circa 400 i trapianti che vengono effettuati ogni anno. E potrebbero essere molti di più se solo aumentasse la disponibilità di organi. Ma per fare ciò è necessario che quello che fu l’effetto Nicholas si moltiplichi oggi a dismisura. Bisogna che più nessuno neghi il consenso alla donazione. Più nessuno chiuda il proprio cuore e la propria mente alla ragione della vita. Oltre la morte.