Ricerca. Parigina, pakistana e “milanese”: il viaggio di Attya Omer contro le leucemie
Attya Omer in laboratorio
Sebbene la ricerca medica sia progredita in modo inimmaginabile, e l’aspettativa di vita delle persone si allunghi sempre di più, rimane una parola che, quando viene anche solo sussurrata, mette ancora i brividi. Una parola che ci pone di fronte alla nostra vulnerabilità e precarietà: “cancro”. Si stima che, ogni anno, circa 400mila persone in Italia ricevano una diagnosi di cancro. C’è da dire che nel tempo la mortalità è drasticamente calata: secondo i dati pubblici della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, si presume che in dodici anni – dal 2007 al 2019 – le morti evitate siano l'11% in più.
In questo scenario di avanzamenti scientifici e sfide continue emerge il valido supporto di giovani ricercatori. Vincitrice dello “starting grant” 2024, Attya Omer ha ricevuto un finanziamento di 1,5 milioni di euro per cinque anni che le permetterà di portare avanti un innovativo progetto: con “eHSCT” (Harnessing Hematopoietic Stem Cell Breakthroughs to Pioneer Advances in Transplantation Therapies) Omer si propone di rivoluzionare il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, una tecnica fondamentale per curare gravi malattie del sangue – come la leucemia – e del sistema immunitario.
Omer, 35 anni, ricercatrice presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genetica (Sr-Tiget) di Milano e l’Università Vita-Salute, si dedica alla caratterizzazione delle cellule staminali ematopoietiche – le progenitrici di tutte le cellule del sangue, come globuli rossi e globuli bianchi. Il suo intento è di utilizzare le conoscenze che saranno acquisite per rendere il trapianto di cellule staminali ematopoietiche più sicuro ed efficiente.
Il progetto affronta sfide critiche come la raccolta e l’integrazione delle cellule staminali nel midollo osseo e la riduzione degli effetti collaterali derivanti dalla chemioterapia. «Il mio progetto – spiega Omer – cerca di migliorare la capacità delle cellule staminali di migrare e integrarsi nel midollo osseo senza l’uso della chemioterapia, rendendo la procedura più sicura ed efficiente».
Di origini pakistane, la giovane ricercatrice è nata a Parigi e cresciuta in Francia in una “Zona di Educazione Prioritaria” (Zep), una delle aree in cui per la loro condizione di marginalità le scuole ricevono risorse aggiuntive per contrastare le difficoltà legate a contesti socio-economici svantaggiati e favorire il successo scolastico degli studenti. Questa esperienza ha rafforzato il suo impegno nel fare la differenza attraverso la sua passione per la scienza, dedicandosi a una ricerca che può avere un impatto significativo sulla vita delle persone.
«I miei genitori – racconta – hanno fatto grandi sforzi affinché io studiassi». L’impegno di Omer le ha permesso di intraprendere una brillante carriera di ricercatrice che l’ha portata a studiare in Inghilterra e negli Stati Uniti, fino ad approdare in uno dei più rinomati istituti di ricerca al mondo: il Whitehead Institute for Biomedical Research, nel Massachussetts.
«Quando decisi di andare in Inghilterra per studiare, ricordo che mia sorella maggiore mi disse: “Non ti lasceranno partire”. E invece alla fine sono partita, con il sostegno della mia famiglia. Era la mia prima esperienza all'estero, sono rimasta via da casa per due mesi. All’inizio è stato un cambiamento importante, lontana dalla mia famiglia e dalle abitudini quotidiane, ma questa nuova sfida mi ha spinto a crescere e ad adattarmi. Nonostante le difficoltà iniziali, ho sempre affrontato la situazione in modo positivo, mostrandolo anche nelle telefonate a mia madre, perché sapevo che questo percorso mi avrebbe portato lontano, sia personalmente che professionalmente».
La decisione della giovane franco-pachistana di passare dall’iniziale studio della microcefalia alla ricerca sulle malattie del sangue è profondamente legata alla sua storia personale. Durante l’esperienza in America, aveva dovuto infatti affrontare una sfida ancora più grande: una diagnosi di leucemia. «I trattamenti sono stati molto intensi, e ho attraversato momenti difficili. Ho scelto di restare concentrata su me stessa, senza cercare subito il supporto della mia famiglia. L’impegno in laboratorio è stato la mia principale fonte di forza, spingendomi ad andare avanti ogni giorno».
Attya Omer al San Raffaele di Milano - .
Questa esperienza ha profondamente trasformato la sua visione del lavoro e della vita, orientandola verso progetti sempre più centrati sui pazienti. «Nel corso del tempo, ho capito che chiedere aiuto non è un segno di debolezza. Ognuno porta con sé il proprio bagaglio di sfide, ed è importante riconoscerlo. Oggi sono cresciuta e ho acquisito una maggiore consapevolezza di tutto ciò».
Omer si è così dedicata allo studio delle cellule staminali del sangue, trasferendosi infine a Milano con l’ambizioso obiettivo di sviluppare una strategia innovativa di trapianto che possa eliminare la necessità della chemio/radio-terapia.