Legge 40. Il divieto di maternità surrogata all’esame della Corte Costituzionale
Con la sentenza 142 del 2014, che ha rimosso il divieto di fecondazione eterologa, questo aveva precisato la Corte costituzionale: «La tecnica in esame... va rigorosamente circoscritta alla donazione di gameti e tenuta distinta da ulteriori e diverse metodiche, quali la cosiddetta "surrogazione di maternità", espressamente vietata dall’art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004». Norma «non censurata», «in nessun modo e in nessun punto... incisa dalla presente pronuncia», dunque «perdurante» nella sua «validità ed efficacia». Martedì 21, però, la stessa Consulta discuterà esplicitamente su questo divieto (non ci sono ancora previsioni sui tempi della sentenza), sollecitata dalla Corte d’appello di Milano che non solo ha fatto propri ma anche ulteriormente sviluppato le ipotesi d’incostituzionalità della legge avanzate da una donna che aveva "commissionato" un figlio in India, ma a cui il Tribunale di Milano non aveva consentito di figurare come madre sul certificato di nascita. Una posizione sostenuta in giudizio anche dal curatore speciale del minore – figura nominata dal giudice tutelare qualora i genitori siano sospettati d’incapacità a salvaguardare i diritti di un o una giovane, magari anche per contrasto con una loro volontà – in questo caso d’accordo con la donna.
Un divieto "fragile"
Così, dalla consonanza di vedute tra l’aspirante madre. il curatore e la Corte d’appello, alla Consulta sono arrivati ben 9 profili di sospettata incostituzionalità del divieto di maternità surrogata, accompagnati da ulteriori considerazioni a favore della "gestazione per altri". Il primo blocco riguarda l’illegittimità della legge nei confronti di presunti diritti dei "genitori d’intenzione", a partire dalla censura per cui la norma creerebbe una discriminazione tra le coppie i cui problemi riproduttivi non incidono sulla possibilità della donna di condurre una gravidanza (coppie che dunque potrebbero ricorrere alla fecondazione eterologa) e quelle cui è invece impossibile la gestazione. Vi sarebbe poi una «discriminazione di genere», perché «mentre è ora consentito a un uomo completamente sterile di poter ricorrere alle tecniche riproduttive e di poter riconoscere come proprio un figlio per l’effetto della donazione di gameti, la stessa possibilità non è consentita a una donna che non possa portare a termine la gravidanza». Poi, pur senza spiegare quale violazione costituzionale provocherebbe questa situazione, la Corte d’appello ricorda come molti italiani affittino un utero all’estero, e come nella maggior parte dei casi le nostre magistrature li mandino assolti dall’infrazione penale (malgrado il divieto vigente per legge).
Genitori "sociali" e "biologici"
A questo punto riprendono le sospettate censure del divieto di surrogazione rispetto alla nostra Carta fondamentale, divieto che a detta dei giudici milanesi sarebbe contrastante sia con il diritto di uguaglianza (la norma determinerebbe «un ingiustificato diverso trattamento delle coppie in base alla loro capacità economica»), sia con «la fondamentale, generale e incoercibile libertà di autodeterminarsi», sia con il diritto alla salute (fisica, perché l’«impossibilità di portare avanti una gravidanza» rappresenterebbe «una patologia produttiva di disabilità», ma anche psichica, in quanto l’incapacità di avere figli nuocerebbe al «benessere relazionale dei singoli membri della coppia»). A questo punto, però, la Corte d’appello sposta l’attenzione dai diritti della coppia a quelli del minore nato da surrogazione e della donna che l’ha portato in grembo, interrogandosi se la pratica possa recar loro pregiudizio, ma giunge comunque a una risposta negativa. Il primo tema è il diritto del minore a conoscere le proprie origini, e qui i giudici milanesi ritengono che possano applicarsi analogicamente i princìpi già stabiliti per l’adozione da legislatore e giurisprudenza («verifica della perdurante attualità della scelta compiuta dalla madre naturale» e contemporaneamente mantenimento del «suo diritto all’anonimato»). E sull’ eventuale «importanza del legame prenatale madre/figlio», che l’utero in affitto recide, la Corte milanese cita «ricerche effettuate nei Paesi in cui la surrogazione non è vietata» concludendo per l’assenza di «differenze nello sviluppo emotivo, sociale e cognitivo» dei piccoli «commissionati» rispetto agli altri. Impossibile poi non considerare il rischio – nella stragrande maggioranza dei casi realmente documentato – che questa pratica leda la dignità della gestante, la quale porta in sé un bimbo per ottenere soldi.
Corte europea e diritto italiano
Ma anche qui i giudici ritengono che non ci sarebbe alcun problema qualora «alla stessa fosse consentito, con scelta libera e responsabile, di accedere e dare senso, in condizioni di consapevolezza, alla pratica "relazionale" della gestazione per altri». Di qui si passa avanti considerando il grande tema del «miglior interesse» del minore. Sul punto la Corte milanese estende i sospetti d’incostituzionalità all’articolo 263 del Codice civile, nella parte in cui l’impugnazione del riconoscimento del minore per difetto di veridicità (uno dei casi: quello contro la donna che non ha partorito ma che vorrebbe risultare come madre) non possa trovare un freno proprio alla luce del "miglior interesse" riferito al piccolo, ma più in generale contestano il divieto assoluto di surrogazione nella parte in cui non considererebbe il maggior bene del minore. Per farlo citano una sentenza della Corte europea sui diritti dell’uomo (quella sul caso Paradiso-Campanelli): ma l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale è del novembre 2015, e lo scorso gennaio – con pronuncia definitiva della stessa Corte europea nella composizione di Grande Chambre - quella pronuncia è stata definitivamente ribaltata.