Per la prima volta. In Italia più "contraccettivi d'emergenza" che bambini nati
Quasi il 10% dei ginecologi non obiettori nel 2017 non ha effettuato aborti perché le rispettive amministrazioni li hanno assegnati ad altri servizi. In parole povere: dalla relazione appena consegnata dal Ministero della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 194 vediamo che nel 2017, 146 ginecologi non hanno effettuato aborti pur avendo dato la loro disponibilità, perché l’organizzazione sanitaria ha ritenuto più opportuno far fare loro altro. Basterebbe questo dato a smontare l’incredibile campagna ideologica contro l’obiezione di coscienza: la necessità di personale medico è in altri settori, non per le Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza). Altra conferma: se tutti i ginecologi non obiettori effettuassero aborti su 44 settimane lavorative annuali ognuno ne farebbe 1,2 a settimana, cioè poco più di uno. Una media nazionale in calo rispetto agli anni scorsi, soprattutto sul 1983, quando la media nazionale di 3,3 aborti a settimana sembrava non sollevare problemi. Le medie regionali e locali non si discostano significativamente dal dato nazionale, tranne per due strutture sulle 381 totali in cui si effettuano Ivg (ripetiamo: 2 su 381), le uniche con aborti settimanali a due cifre: 18,2 e 13,6 in una clinica della Sicilia e della Campania, rispettivamente.
"Punti nascita" e "punti Ivg"
Riportare dati incompleti, cioè solamente le percentuali di obiettori, come continua a fare gran parte della stampa, è semplicemente uno dei tanti modi di fabbricare fake news, a dimostrazione che non è solo Internet a veicolarle.
Ma la relazione al Parlamento dice anche molto altro del mondo intorno a noi, che sta cambiando velocemente. Come già letto dalle colonne di Avvenire, è confermato il calo abortivo secondo tutti i parametri con cui viene stimato, e l’Italia continua ad avere le cifre più basse fra i Paesi occidentali. Meno Ivg fra le minori, con una diminuzione consistente quest’anno; meno anche gli aborti ripetuti, e se si scorporano i numeri delle italiane dalle straniere si vede che a carico delle prime ce ne sono 56.245, a fronte dei 234.801 del 1982. Un numero sempre enorme, ma sceso del 76%. In controtendenza, aumenta l’offerta del "servizio Ivg", paragonata a quella dei punti nascita: per ogni punto nascita, in Italia c’è un quasi un punto Ivg. Per la precisione: per ogni 10 strutture in cui si effettuano aborti ce ne sono 11 in cui si partorisce. Va considerato che gli aborti sono il 17,6% delle nascite, mentre le strutture per le Ivg sono l’87,8% di quelle che offrono la possibilità di partorire. Insomma: le strutture per abortire rispetto a quelle in cui si nasce sono molte più di quelle che ci sarebbero se si rispettasse il rapporto fra aborti e nascite. Il Servizio sanitario è cioè sbilanciato, nella distribuzione delle strutture disponibili, a favore del servizio Ivg piuttosto che di quello per le nascite, e la conferma si ha guardando i dati delle singole regioni: più della metà ha un numero uguale o maggiore di punti Ivg rispetto a quello dei punti nascita (Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Sardegna). Fra quelle con più punti Ivg rispetto ai punti nascita il 2017 vede per la prima volta Sardegna e Lombardia: per quest’ultima si tratta di un ulteriore segnale di cambiamento delle politiche rispetto al passato, quando la regione era saldamente orientata al sostegno della natalità e della famiglia.
Gli aborti "tardivi"
Aumenta la percentuale degli aborti tardivi (dopo i 90 giorni), fatti solitamente a seguito di diagnosi di malformazioni: numeri piccoli e bassi rispetto al dato internazionale, ma in costante aumento (il 3,8% nel 2012 e il 5,6% nel 2017). Una percentuale più alta per le italiane che per le straniere, e che in generale aumenta con l’età delle donne. In particolare, il tasso di abortività per donne di 30-39 anni è abbastanza elevato, specie se paragonato con quello di età minore. Ci si aspetterebbe una maggiore differenza, analogamente agli altri Paesi occidentali, ma si sa: le italiane hanno figli mediamente in età più avanzata rispetto a quanto accade negli altri Paesi europei, e l’andamento degli aborti segue quello delle nascite.
Altro punto da considerare è la cosiddetta "contraccezione di emergenza". Le vendite delle pillole "del giorno dopo" e "dei cinque giorni dopo" – Norlevo ed EllaOne – sono quasi raddoppiate in pochi anni: nel 2014, ultimo anno in cui era richiesta la ricetta medica, le confezioni acquistate erano in tutto 298.458, salite a 560.081 nel 2017. Gli aborti però non si sono dimezzati.
Sarebbe interessante conoscere i dati sulle minorenni, per conteggiare le ricette presentate per queste pillole: è vero o no che le ragazzine se le procurano tramite amiche maggiorenni, evitando la prescrizione medica, come suggeriscono diversi addetti ai lavori?
Più scatole, meno culle
Infine, per la prima volta queste vendite hanno superato le nascite: a fronte di 560.081 scatole acquistate sono nati 458.151 bambini. Un fatto più che simbolico, perché intanto diminuisce in numero assoluto il numero delle donne in età fertile, cioè delle persone che potrebbero usare questo prodotto, e che dovrebbero farlo solo in circostanze eccezionali. Va ricordato che per la pillola "dei cinque giorni dopo" il Consiglio superiore di sanità aveva riconosciuto il possibile effetto antinidatorio, cioè di precocissimo aborto, accanto a quello contraccettivo.
La relazione al Parlamento sulla 194 è ricca di dati, aggiornati e ben elaborati, ma è ormai evidente la necessità di affiancarla con altre informazioni e studi più ampi sulla nostra società: i nuclei familiari sono molto cambiati e così la rete parentale, la composizione etnica, le modalità di lavoro, gli orientamenti valoriali. Non possiamo continuare a leggere i dati sull’aborto a prescindere da tutto questo.