Vita

La Giornata nazionale. Stati vegetativi, luci accese oltre Eluana

Francesco Ognibene lunedì 9 febbraio 2015

Il 9 febbraio, come ogni anno dal 2010 nel primo anniversario della morte di Eluana Englaro a Udine, l’Italia mette al centro dell’attenzione le persone in stato vegetativo con la Giornata che gli è dedicata, e quest’anno lo fa con un convegno organizzato a Roma dal Ministero della Salute sulla «Presa in carico delle persone con disordini di coscienza» nel corso del quale sono stati presentati contenuti di uno studio nazionale su pazienti, famiglie e assistenza locale coordinato dall’équipe dell’Istituto neurologico Besta di Milano sotto la direzione di Matilde Leonardi. Passate ormai le polemiche per la tragica fine della giovane lecchese, resta sul tavolo il problema dell’attenzione per chi vive in stato di "minima coscienza", sotto l’effetto di quella che è stata ribattezzata "sindrome di veglia a-responsiva". «Sembra che l’opinione pubblica si sia anestetizzata sull’argomento – commenta Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita – quando invece è una realtà assistenziale e di presa in cura che nel nostro Paese coinvolge migliaia di persone insieme alle loro famiglie. La motivazione che deve continuare a muovere la Giornata è la necessità di mantenere una vigile e costante attenzione sulla fragilità e la vulnerabilità delle persone in stato di minima coscienza, portatrici di un’indiscutibile dignità personale che non deve essere mai disconosciuta». Dunque, insiste Ricci Sindoni, «è necessario insistere in una sensibilizzazione sempre più accorta e coinvolgente di media e istituzioni, così da non lasciare spazio solo a luoghi comuni che confondono gli uomini con i vegetali». Ma c’è anche un aspetto economico rilevantissimo: «A fronte delle infinite e insostituibili ore spese gratuitamente da familiari e volontari per assistere la quotidianità di coloro che versano in questo stato», sottolinea ancora la presidente di Scienza & Vita, «confidiamo nella rinnovata attenzione verso i più deboli e i più fragili, più volte richiamata anche da papa Francesco, affinché non vengano ridotte le risorse per l’assistenza di questi disabili gravissimi». Nei sei anni trascorsi dalla morte di Eluana «il confronto pubblico nell’arena politica e nella società civile ha impedito fino a oggi che altri casi come il suo si verificassero». Lo dichiara Eugenia Roccella, parlamentare di Area Popolare e vicepresidente della commissione Affari sociali della Camera. «Ancora oggi– aggiunge – ci sono sentenze creative e sconcertanti nell’ambito delle tematiche di inizio e fine vita, e ancora oggi c’è chi vorrebbe introdurre l’eutanasia nel nostro Paese. Ma non dimentichiamo che il 9 febbraio è anche la Giornata nazionale sugli stati vegetativi, chiesta dalle associazioni dei familiari delle persone in queste condizioni, che ci ricorda che non stiamo parlando di non-persone, di candidati all’eutanasia, ma di gente viva, colpita da una forma estrema di disabilità, a cui va dato il necessario sostegno». Dunque «il nostro impegno a difesa della vita non è finito, e non finirà, anche in memoria di Eluana». Il caso Englaro, rimarca il deputato Gian Luigi Gigli, capogruppo di Per l’Italia-Cd in commissione Affari costituzionali, neurologo e protagonista della battaglia per salvare Eluana, «continua a interrogarci sulla dignità e sul diritto alla vita da riconoscere a ogni grave disabile, sui limiti di chi ha il potere di decidere in sua vece, sulla vocazione di cura delle istituzioni sanitarie, sulle invasioni di campo della magistratura per forzare la mano al legislatore. Il dibattito e le lacerazioni di allora non saranno stati vani se saranno serviti ad accrescere le conoscenze scientifiche sullo stato vegetativo e gli altri gravi disturbi di coscienza, a migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti e il sostegno alle loro famiglie, ad evitare all’Italia di sprofondare sul piano inclinato dell’eutanasia legalizzata». Interviene anche l’autorevole Centro di ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica diretto da Adriano Pessina, che presentando al Ministero della Salute la sintesi della sua ricerca all’interno del progetto sulla «presa in carico» ha specificato che la persona in stato vegetativo non va considerata «semplicemente come paziente ma come persona con gravissima disabilità». Nei 106 provvedimenti regionali su questa materia dal 1999 al 2014 il Centro milanese nota come «per quanto permanga una certa disomogeneità, si fa comunque apprezzare un progressivo distaccamento dal modello prevalentemente medico, verso un modello in cui il soggetto in stato vegetativo e di minima coscienza è inteso non più unicamente come paziente, ma come persona con disabilità». In particolare «la costruzione di un sistema a rete integrata è stata fortemente richiesta dalle associazioni dei familiari, a testimonianza dell’esigenza di una maggiore inclusione dei "caregiver" nei percorsi socio-assistenziali di riabilitazione e cura».