Vita

BIOETICA E GIUSTIZIA. Stamina, Balduzzi: «Le cure iniziate siano proseguite»

Francesca Lozito venerdì 22 marzo 2013
​Sì alla prosecuzione del metodo Stamina per i pazienti che hanno già avviato i trattamenti. Ma anche, maggiori limiti alle cure compassionevoli. Ne ha dato notizia il ministro della Salute, Renato Balduzzi, che ha spiegato come il via libera sia stato inserito in un decreto-legge, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri.Nel decreto, tra le altre cose, si stabilisce che «tutti i pazienti che hanno iniziato la terapia con le staminali preparate con metodo Stamina potranno portare a termine i loro protocolli anche se il laboratorio di riferimento (in questo caso quello degli Spedali Civili di Brescia) non è autorizzato». Per Balduzzi: «La norma si basa sul principio etico per cui un trattamento sanitario già avviato che non abbia dato gravi effetti collaterali non deve essere interrotto». Il nuovo regolamento per le cure compassionevoli prevede dunque che «per poter usufruire di una terapia cellulare con preparazione su base non ripetitiva, in applicazione delle normative europee, saranno necessarie la prescrizione di un medico responsabile, il consenso informato, l’approvazione di un Comitato etico, la produzione del farmaco da parte di una struttura che garantisca la qualità farmaceutica. Con lo stesso provvedimento saranno fissate regole precise per garantire la sicurezza dei pazienti e sarà determinata una precisa procedura di valutazione degli esiti dell’impiego di queste terapie». Una soddisfazione a metà per Guido De Barros, il padre della piccola Sofia, affetta da una grave malattia neurodegenerativa e sottoposta nei giorni scorsi alla seconda infusione di staminali: «È una notizia importante per Sofia, possiamo gioire – dice De Barros – ma il nostro pensiero va anche a tutti i bimbi che restano fuori dalle cure». Intanto c’é da registrare proprio oggi la lettera aperta di sessanta famiglie di pazienti affetti da Sma (atrofia muscolare spinale) che chiedono ai mass media maggiore correttezza di informazione su questa malattia di cui soffre anche Celeste, un’altra delle bambine trattate con Stamina: «Non è l’unica a essere sopravvissuta sopra i due anni – spiegano – ci sono bambini affetti da Sma di 3, 4, 6, 8, 11 anni, che vanno a scuola, frequentano l’asilo via skype. Non parlare di loro è come distruggere tutto ciò che ogni giorno i nostri bambini conquistano. La Sma – aggiungono – è a oggi una malattia senza cura, chiunque dica il contrario ha il dovere di dimostrarlo». Le famiglie dei piccoli malati di Sma precisano inoltre che: «In Italia esistono vari centri che da anni curano, pur non potendo guarire, le persone affette da Sma: a, Milano Genova, Bologna, Roma». E accusano i media che si sono occupati di Stamina di non aver dato spazio anche a questo tipo di informazioni, mettendoci il giusto equilibrio: «Noi affidiamo con fiducia e stima – aggiungono – la vita dei nostri figli a questi medici. Il quadro che alcuni mezzi di comunicazione hanno dipinto è quindi del tutto fuorviante e pericoloso per chi riceve oggi una diagnosi di Sma». Cautela dal mondo scientifico rispetto alla decisione di Balduzzi di dare da una parte il via libera a proseguire a chi ha iniziato le cure con Stamina e dall’altra a regolamentare tutte le cure compassionevoli. Il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico del Bambin Gesù di Roma attende «di vedere la seconda parte del decreto annunciato oggi da Balduzzi». E auspica che «non si verifichino più situazioni non regolamentate». Dallapiccola prova «amarezza per la discriminazione tra chi potrà continuare la cura perché già avviata e chi è fuori» ma d’altronde «siamo di fronte a un protocollo che non ha seguito un percorso scientifico tradizionale».Definisce invece un grave errore la scelta del decreto Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano: «Pur comprendendo i motivi di compassione per cui è stato fatto. Il rischio è quello di incoraggiare altri scienziati che portano avanti sperimentazioni di ogni genere a non rendere pubblici, come vuole la legge, i propri dati».