La sentenza. Suicidio assistito "a richiesta", la Corte di Massa forza i limiti
Davide Trentini con Mina Welby
Può essere assecondata la richiesta di aiuto al suicidio di un paziente affetto da una malattia incurabile e progressiva, fonte di sofferenze ritenute insostenibili, anche se la dipendenza da sostegni vitali non è quella che la già discussa legge 219 sul fine vita identifica nella sola nutrizione assistita.
Dunque si può ottenere di morire anche quando il “sostegno vitale” del paziente che vuole concludere la sua vita consiste in “qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida”.
Con questa abnorme estensione del suicidio assistito non punibile, teorizzato nelle motivazioni depositate il 2 settembre e ora rese note dall’Associazione radicale Luca Coscioni, la Corte d’Assise di Massa ha assolto il 27 luglio i dirigenti radicali Marco Cappato e Mina Welby dall’accusa di aver collaborato in modo determinante alla morte di Davide Trentini, affetto da Sclerosi multipla e morto il 13 aprile 2017 in Svizzera in un centro specializzato nella morte a richiesta.
Nella sentenza 242 sul caso del suicidio di dj Fabo, sempre ottenuto in Svizzera grazie all’intervento di Cappato, la Corte Costituzionale aveva stabilito che fosse “non punibile, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Ora la nuova sentenza su un caso promosso ad arte dai radicali crea ciò che essi intendevano ottenere: una forzatura del verdetto della Consulta, che aveva inteso circoscrivere nel modo più rigoroso i casi di aiuto al suicidio, un percorso che ora viene stravolto dai giudici di Massa con un’interpretazione estensiva del concetto di sostegno vitale: non più solo nutrizione artificiale dunque, che definisce una categoria ben delimitata di pazienti, ma – scrive la Corte di Massa – “qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari medici”. Siamo ben oltre il perimetro della sentenza 242 della Consulta, che non intendeva assolutamente costituire alcun nuovo diritto ma eccezioni in casi estremi per rispondere a situazioni cliniche estreme e ormai definitivamente compromesse come quella di Fabiano Antoniani.
I giudici del collegio toscano prendono dunque le parole della Consulta – come si temeva - e ne fanno oggetto di una nuova sentenza “creativa”: “Ciò che ha rilevanza – scrivono – sono tutti quei trattamenti sanitari, sia di tipo farmaceutico sia di tipo assistenziale medico o paramedico, sia infine con l’utilizzo di macchinari, compresi la nutrizione l’idratazione artificiale, senza i quali si viene a innescare nel malato un processo di indebolimento delle funzioni organiche il cui esito, non necessariamente rapido, è la morte”. In pratica, alla luce di questo verdetto tutti i pazienti affetti da qualsiasi patologia curati con farmaci sospesi i quali anche in un tempo indefinito sopravviene la morte possono chiedere allo Stato di farla finita. Se non è la definizione per sentenza del diritto di morire, davvero poco ci manca.