Vita

Malattie rare. Sla, nutrirsi bene è parte della cura

Enrico Negrotti domenica 27 ottobre 2024

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La possibilità di nutrirsi correttamente è un problema serio per i pazienti con sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Infatti la crescente incapacità di deglutire, o disfagia, acuisce le difficoltà di gestione di una malattia già tanto complessa e grave. Ma la ricerca scientifica, con la collaborazione degli chef, si sforza di trovare soluzioni che garantiscano il corretto apporto di nutrienti ai malati, senza trascurare l’aspetto sociale e relazionale dell’alimentazione.

Di questi temi si è discusso nei giorni scorsi nel convegno “Sla: Metabolismo e Nutrizione. Nuove frontiere nella presa in carico”, svoltosi all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Cuneo), e organizzato dalla Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla), dai Centri clinici Nemo e da SLafood, l’associazione promossa da Aisla nel 2023 proprio per affrontare da un punto di vista scientifico e gastronomico insieme le problematiche alimentari delle persone con Sla.

All’evento, sotto l’egida di Slow Food, hanno dato il benvenuto l’assessore alla Sanità di Regione Piemonte, Federico Riboldi, e la responsabile delle Politiche di antidiscriminazione, disabilità e inclusione sociale dell’Università di Pollenzo, e delegata del rettore, Maria Giovanna Onorati.

Hanno partecipato una settantina di studenti (dietisti dei Centri Nemo, neurologi, ma anche specializzandi dell’Università di Pollenzo) e alcuni chef (Roberto Carcangiu, vicepresidente SLAfood, Cristian Benvenuto, Elio Sironi, Roberto Valbuzzi, Fabio Zanetello), che hanno dato dimostrazioni pratiche delle preparazioni culinarie sulla base delle indicazioni nutrizionali emerse dalle relazioni degli scienziati.

«I nuovi obiettivi scientifici si rivolgono sempre più all’interazione tra metabolismo e nutrizione, sia per approfondire le cause della malattia, che per migliorare la pratica clinica – spiega Federica Cerri, neurologa, referente Area Sla del Centro Nemo di Milano e coordinatore scientifico del convegno – L’attenzione è verso gli standard di cura per la gestione della disfagia, i metodi di valutazione e di predizione dello stato nutrizionale, al fine di consentire lo sviluppo di piani nutrizionali “cuciti” sulla storia di malattia di ogni persona».

La disfagia è «un ostacolo molto importante per la nutrizione, ma anche per l’idratazione – osserva Giorgio Calabrese, nutrizionista ed esperto della Commissione medico-scientifica di Aisla –. Per questo il lavoro multidisciplinare deve produrre ricette a consistenze modificate bilanciando tutti i nutrienti necessari al fabbisogno richiesto dalla malattia, senza però dimenticare l’importante funzione sociale e di appagamento emotivo e psicologico del cibo». Mettendosi dalla parte del paziente che non riesce a deglutire, continua Calabrese, bisogna «avere qualcosa di vellutato, di morbido ma di non troppo liquido e di non troppo solido, alimenti che devono essere armonizzati fra di loro nella loro sofficità».

Davide Rafanelli, imprenditore del settore alimentare e da qualche anno malato di Sla, è il presidente di SLAfood: «Provo sulla mia pelle cosa significa essere costretti a rinunciare a un buon pasto mangiato insieme ai propri cari» racconta. Di qui il richiamo al «gioco di squadra per preservare il desiderio di ciascuno di godere delle gioie quotidiane della vita. È vero, la Sla è una “ladra del gusto”, ma non può privarci della bellezza e dell’emozione di vivere il presente».

La scienza ha insegnato che la disfagia «è una parte integrante della patologia e come tale diventa anche un obiettivo di cura – puntualizza Federica Cerri –, per cui la presa in carico deve essere precoce. Dobbiamo lavorare per trovare biomarcatori che ci consentano di predire l’andamento nutrizionale dei pazienti, proprio per poter anticipare questo problema nella Sla, per agire precocemente, d’anticipo e poter trattare questo elemento per essere anche efficaci nel modificare la storia naturale di malattia di questi pazienti».

Alla Sla manca finora una vera terapia: «Come associazione – sottolinea Fulvia Massimelli, presidente nazionale di Aisla – dobbiamo saper prenderci cura, garantire una qualità della vita che possa riempire di senso il tempo che la scienza ci dona». «Un tempo si parlava dell’inevitabile progredire della malattia. Oggi – conclude Massimelli – dell’inevitabile progredire della scienza»