Ricerca. Sla, caccia alle coppie di geni mutati
Sandra D'Alfonso
Per ricercare le cause di una malattia complessa quale la sclerosi laterale amiotrofica (Sla) i ricercatori moltiplicano gli approcci. Quello ideato dal gruppo coordinato da Sandra D’Alfonso, docente di Genetica medica presso il Dipartimento di Scienze della salute dell’Università del Piemonte Orientale, unisce alla ricerca genetica l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle forme del machine learning (apprendimento automatico, ndr), e studi in laboratorio su cellule ingegnerizzate, le staminali pluripotenti indotte (Ips) differenziate in motoneuroni, per una verifica finale dei risultati.
Il progetto Dig-Als si propone di identificare nuove cause genetiche utili per lo sviluppo futuro di farmaci efficaci contro questa terribile malattia neurodegenerativa. Partner della ricerca, una delle quattro ad avere ottenuto un finanziamento per un progetto esteso (full grant) dalla Fondazione Arisla (230mila euro per 36 mesi), sono Adriano Chiò (Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino) e Antonia Ratti (Istituto Auxologico Italiano Irccs di Milano).
«Solo per alcuni pazienti – premette Sandra D’Alfonso – è stato possibile identificare il difetto genetico che è la causa scatenante del processo degenerativo della Sla. In particolare per almeno l’80% dei malati non si conosce il difetto genetico: è il fenomeno definito “ereditarietà mancante”. Abbiamo quindi ipotizzato che all’origine della malattia potrebbe trovarsi un difetto in più di un gene».
Il che amplia enormemente le dimensioni della ricerca e la rende molto più complessa: «Abbiamo pensato di analizzare la combinazione di due difetti genetici nello stesso paziente: Dig-Als è appunto la sigla che significa “Sla digenica” – continua D’Alfonso –. In questo compito ci aiuta l’intelligenza artificiale, di cui il machine learning è parte, per gestire un numero enorme di dati. Infatti non solo i geni umani sono circa 25mila (e vanno analizzate le combinazioni in coppia), ma sono circa 3 miliardi le posizioni (nucleotidi) del nostro genoma che sono da indagare per identificare difetti genetici responsabili della malattia».
Lo studio parte «sulla solida base di dati genetici e clinici accumulati da Adriano Chiò – puntualizza D’Alfonso – in collaborazione con Letizia Mazzini, che gestisce il Centro Sla qui a Novara e il Laboratorio di genetica da me diretto. Abbiamo i dati genetici completi di oltre 4mila pazienti con Sla, compresi quelli dell’Istituto Auxologico Italiano, terzo partner del progetto».
Su questi dati lavoreranno i computer con la metodica del machine learning: «Saranno istruiti – chiarisce D’Alfonso – con le informazioni relative alla quarantina di geni di cui sappiamo che hanno un ruolo nella Sla. In più si parte prendendo in considerazione le coppie di geni presenti in altre patologie di cui è noto il ruolo dannoso, cioè che causano una malattia (diversa dalla Sla)».
Una volta che fossero individuate – nella popolazione analizzata dei 4mila pazienti – coppie di geni alterati che plausibilmente potrebbero essere implicate nella causa della Sla «le confronteremo con i dati genetici di una popolazione diversa, facendo riferimento al più grande studio internazionale che è in corso sulla Sla, lo studio MinE», spiega D’Alfonso.
La parte finale dello studio si trasferisce nei laboratori dell’Istituto Auxologico a Milano «dove Antonia Ratti da tempo lavora a realizzare un modello di Sla in provetta. Partendo da cellule del sangue dei malati, le riporta a uno stato indifferenziato (cellule staminali pluripotenti indotte, Ips) e poi dirige il differenziamento verso le cellule importanti per la malattia: i motoneuroni. Queste cellule, ovviamente, sono difficili da studiare nel paziente: in questo modo potremo capire se le coppie di geni alterati che avremo individuato con la nostra indagine computazionale – prevede D’Alfonso – effettivamente modificano la struttura o la funzione della cellula, il motoneurone, riprodotta in vitro con i difetti genetici dei pazienti».
La palla a quel punto, passerà ai farmacologi. «Infatti l’obiettivo – conclude D’Alfonso – è comprendere meglio le cause della malattia per mettere a disposizione della comunità scientifica nuovi possibili bersagli terapeutici. Oltre a fornire elementi per la consulenza genetica delle famiglie dei malati».