«È il momento in cui coloro che credono in determinate idee possono organizzarsi spendendosi in prima persona attraverso gli strumenti che la democrazia mette loro a disposizione. Prima ancora che una battaglia giuridica, la campagna europea "Uno di noi" vuole ribaltare un dibattito culturale contrario al diritto alla vita». La "chiamata alle armi" porta la firma di Filippo Vari, docente di diritto costituzionale all’Università europea di Roma e componente di spicco del vasto comitato di cittadini che sostiene, in tutta l’Ue, l’iniziativa per il riconoscimento giuridico dell’embrione. Una mobilitazione, partita ufficialmente nei giorni scorsi per iniziativa dei Movimenti per la vita dei 27 Paesi membri dell’Unione, e che mira a raccogliere almeno un milione di firme per indurre il legislatore europeo a intervenire sulla questione della vita nascente. Per questo "Uno di noi" è l’emblematica definizione di ogni concepito, nei confronti del quale la campagna mira a ottenere una tutela assoluta.«Da un lato, attraverso le firme – spiega Vari –, vogliamo incalzare le istituzioni Ue sul piano giuridico per impedire il finanziamento di politiche filo-abortiste e contrarie al rispetto della vita, al fine di creare una protezione giuridica della dignità, del diritto e dell’integrità di ogni essere umano fin dal suo concepimento. Dall’altro lato – prosegue Vari – occorre creare una sensibilizzazione all’interno del vasto territorio dell’Ue, dove, non di rado, il diritto alla vita viene violato».Il progetto, sul piano puramente giuridico, «non può riguardare solo la liceità o meno dell’aborto o della ricerca sulle cellule staminali», perché si tratta pur sempre di aspetti che investono la competenza dei singoli stati. «È anzi opportuno – evidenzia il costituzionalista – che questi temi restino ancorati agli stati» e che «non siano decisi a livello centralistico da Bruxelles». Il punto è che, come già avvenuto nel recente passato con l’ultimo programma "quadro" della ricerca, l’Unione, nell’ambito dei «diritti sostanziali su cui va costruita la casa comune europea», continua a finanziare «politiche pubbliche che violano il diritto alla vita». La memoria corre a fatti recentissimi. «Il programma di ricerca già richiamato – dichiara Vari – specificava che non potevano essere sostenuti esperimenti e programmi che prevedevano la distruzione diretta di embrioni. Ma, al tempo stesso, l’Ue dava il via libera a corposi finanziamenti sulle fasi successive del processo, cioè quelle che riguardavano le cellule staminali embrionali già prodotte. Una decisione ipocrita. Perché o si riconosce l’importanza del diritto alla vita, negando quindi ogni contributo alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, oppure si decide di non tutelare la vita stessa».D’altra parte, ricorda Vari, «una importante sentenza della Corte di giustizia europea, alla fine del 2011, ha stabilito che l’embrione gode della dignità di un uomo», pur in un contesto in cui, a livello comunitario, non mancano incongruenze che «le istituzioni comunitarie devono una volta per tutte superare». L’opportunità viene offerta dalla campagna "Uno di noi", che si traduce nel tentativo di dimostrare «che la volontà dei popoli dell’Unione non è sempre quella dei governanti». C’è, per Vari, «una grandissima parte dell’opinione pubblica nel vecchio continente contraria al finanziamento di politiche che non tutelano il diritto alla vita a livello comunitario e che, a livello di stati membri, non approva normative che violano questo stesso diritto, come quelle che riguardano l’aborto o gli embrioni».Una volontà popolare che, fino al prossimo 1 novembre, potrà essere dimostrata con pochi clic, sottoscrivendo l'appello a
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