Vita

«Serafico» di Assisi. Siamo le ali di chi non può volare

Francesca Di Maolo sabato 5 febbraio 2022

La presidente del Serafico racconta i «suoi» disabili: «In 150 anni di storia insieme ai più fragili, spesso abbandonati da tutti, abbiamo maturato la coscienza di essere chiamati a essere non solo mani e occhi dei nostri ragazzi ma anche la loro voce nella società».

Da 150 anni il Serafico si prende cura di bambini e ragazzi con grave disabilità. Sono mutati nel tempo i bisogni delle persone che varcano la sua soglia, e di conseguenza le nostre azioni, ma la nostra missione è sempre la stessa: rendere piena la vita dei più fragili.
Per custodire pienamente la vita occorre avere chiaro quanto valga un essere umano: in qualsiasi circostanza e nonostante il limite e la malattia. È proprio il riconoscimento del valore dell’altro che ci ha mosso in questi 150 anni, un lungo cammino che è stato come un viaggio in mare aperto, spinti dall’amore sulla via della fraternità. La vita è straordinaria e sa sorprenderci sempre.
Molti ritengono che realtà come le nostre siano intrise di dolore. Certo, non lo nego, accanto alla vita più fragile sperimentiamo la sofferenza, ma anche la gioia, quella vera che ti coglie di sorpresa di fronte alle autonomie conquistate dai ragazzi e al loro stupore per la bellezza che ci circonda. Penso a David, arrivato da noi all’età di tre anni, quasi in stato vegetativo, dopo un gravissimo incidente in cui hanno perso la vita i suoi genitori. I medici dell’ospedale ci avevano detto che David era condannato alla sua condizione, forse solo piccolissimi miglioramenti. Ma io l’ho visto piano piano tornare alla vita tra le braccia di operatori straordinari che non solo hanno una grande competenza e professionalità ma che, spinti da un impulso che parte dal cuore, non si arrendono mai. Anche per David sembrava che il destino avesse scritto tutta la sua storia, senza una mamma, senza il papà, e con occhi che sembravano non cogliere nulla intorno a lui. Ricordo quando un giorno aprii la porta della stanza della musicoterapista. Trovai David steso sul pianoforte a coda: mentre la terapista Paola suonava, Marco manovrava il suo corpicino: massaggi e vibrazioni. Ho l’immagine di David nel parco, in acqua e tra le braccia di un educatore che gli leggeva una favola. Ho il ricordo di chi dipinse la sua cameretta per renderla più accogliente e di chi la puliva con cura e amore. Poi un giorno speciale lo incontrai nel corridoio e vidi i suoi occhi non più spenti ma vigili, che seguivano la mia voce. Provai un’emozione fortissima, non ho trattenuto le lacrime per la commozione. Penso a Veronica che ha imparato a camminare nei nostri corridoi, a Giancarlo che con i battiti delle ciglia e il suo sorriso straordinario ci comunica ogni stato d’animo. Penso a chi non c’è più e che abbiamo stretto a noi fino alla fine, facendo da ponte tra la terra e il cielo.

Accanto alla vita più fragile si impara che una vieta piena si può sempre vivere. Questo ci porta a riflettere anche su alcune derive culturali che rischiano di travolgerci.
In tempi di crisi economica, per le ristrettezze delle risorse, l’accesso ai servizi sanitari viene troppo spesso condizionato ai risultati di salute che possono generare. Ne consegue che l’inguaribile sia considerato incurabile. Conclusione aberrante, dell’inguaribile ci si può sempre prendere cura. Accanto ai nostri ragazzi abbiamo imparato che anche in un corpo immobile c’è un’anima capace di volare se ha qualcuno al suo fianco. E noi abbiamo il privilegio di rendere possibile questo volo.

Donne e uomini straordinari che scelgono ogni giorno di custodire la vita sono le ali di tante persone fragili. Ma sono anche costruttori di giustizia e di democrazia. Questo è un passaggio di cui non si ha sempre piena consapevolezza. Troppo spesso si crede che prendersi cura dell’altro sia solo un atto di carità e di assistenza, attività discrezionali e non necessarie. Ma non è così: è riconoscimento della dignità di una persona che ha diritto non solo di sopravvivere ma di vivere. Amore e giustizia sono inseparabili. Prendersi cura dell’altro e accompagnarlo a partecipare alla vita è interesse di tutta collettività, perché la democrazia esige che nessuno sia lasciato indietro.
Siamo consapevoli che è nella vita di ogni giorno accanto al malato, al disabile, all’anziano e alle loro famiglie che la dignità di una persona, da mera enunciazione, può diventare parola viva. Sappiamo che custodire la vita va aldilà delle azioni di cura intesa in senso stretto. Al Serafico abbiamo maturato la consapevolezza di non essere chiamati solo a essere mani e occhi dei nostri ragazzi: dobbiamo essere anche la loro voce nella società.

Papa Francesco incontrando il Serafico lo scorso 13 dicembre ha ricordato che «ogni persona umana è preziosa, ha un valore che non dipende da quello che ha o dalle sue abilità, ma dal semplice fatto che è persona, immagine di Dio. Se la disabilità o la malattia rendono la vita più difficile, questa non è meno degna di essere vissuta, e vissuta fino in fondo». Il riconoscimento del valore di ogni persona è davvero l’unica via per cambiare paradigma secondo una nuova prospettiva che, proprio seguendo le parole del Santo Padre, metta la persona più fragile al centro della nostra cura e della nostra premura. E anche al centro dell’attenzione della politica. Come ha sottolineato il Papa, è un «obiettivo di civiltà», che può essere realizzato solo se ciascuno di noi si riconoscerà custode della vita.
La vita è un bene che non può essere lasciato in balìa di false libertà, solitudine e abbandono. Tutti siamo custodi della vita, uno dell’altro. Raggiungere questa coscienza individuale e collettiva è anche l’unica strada per rigenerare il nostro Paese all’insegna di uno sviluppo che sarà reale e sostenibile solo se non lasceremo indietro nessuno.
Presidente Istituto Serafico Assisi