Vita

Famiglie lacerate. Separazioni, verso la fine della «madre prevalente»?

Luciano Moia venerdì 28 ottobre 2016

C’era una volta la "madre prevalente". Quella presunzione di maggiore affidabilità e dedizione nell’educazione dei figli che da sempre aveva convinto i giudici a consegnare i bambini alle mamme nelle cause di separazione. La percentuale bulgara del 93% di assegnazione dei bambini alle madri con la precedente legge sulla separazione, non è sostanzialmente cambiata con la legge 54 del 2006 sull’affido condiviso. Nell’ultimo decennio le madri sono diventate, almeno in nove casi su dieci, il "genitore collocatario". Non si tratta di una sfumatura lessicale. Alla madre la legge riconosce l’assegnazione della casa di famiglia e i cosiddetti alimenti, quando e se ricorrono le condizioni.

Tre giorni fa il Tribunale di Milano, con sentenza destinata a fare scuola, ha decretato chiusa la lunga stagione della "madre prevalente" e ha inaugurato quella della bigenitorialità educativa. Sembrerebbe una scelta importante, almeno come dichiarazione di principio, ma qualche dubbio rimane. Vediamo perché. I giudici della sezione IX, dedicata alla famiglia – presidente Laura Amato – sono stati chiamati a valutare il ricorso di una madre contro la decisione del Tribunale dei minori che due anni fa aveva deciso l’affidamento di una bambina ai Servizi sociali e il "collocamento prevalente" presso l’abitazione del padre. Le oscillazioni di umore della donna e la sua decisione di non collaborare con gli operatori dei Servizi sociali avevano convinto i giudici minorili a preferire il maggior equilibrio dell’uomo «molto focalizzato sull’effettivo interesse della figlia». Il tribunale ha respinto il ricorso e confermato la decisione di prima istanza. Ma ha allargato il ragionamento, sottolineando – come fa notare l’avvocato Lorenzo Puglisi, presidente di Familylegal – che il principio della "madre prevalente" non trova fondamento nel codice civile né nella carta costituzionale. Anzi la legge, come la letteratura scientifica, sostiene il principio della bigenitorialità e della parità.

Il genitore "collocatario", secondo la triste dizione del codice, può essere indifferentemente padre o madre. Conta l’interesse del minore. Sorgono due domande. Su quale presupposto, negli ultimi 30 anni, migliaia di sentenze si sono orientate verso l’affidamento o il "collocamento" quasi esclusivo alla madre se, come scrivono i giudici milanesi, non c’è traccia di tale indicazione nella legge? È stato sufficiente, come si legge nella sentenza a proposito di un recente pronunciamento della Cassazione, che il principio non fosse "tempestivamente contestato" per passare in giudicato? Non è tutto. L’obiettivo è assumere decisioni che possano davvero assicurare a bambini e ragazzi, già pesantemente segnati dalla sofferenza della disgregazione familiare, le migliori condizioni di crescita. Come si fa ad assicurare ai genitori pari possibilità di intervento? Oggi il giudice affida la definizione degli aspetti concreti della vita del minore alla buona volontà dei genitori e al controllo dei Servizi sociali. Ma troppo spesso mancano. Non sarebbe il caso di intervenire sull’impianto della legge con una serie di garanzie per un affido "effettivamente" condiviso? A dieci anni dalla legge almeno questo meritano figli, madri e padri che portano dentro i segni indelebili del fallimento.