Lo studio. Separazioni meno conflittuali, bambini più garantiti
(Foto Siciliani)
Perdere i genitori. Una tra le prospettive peggiori che possano toccare a bambini e ragazzi. Sempre più spesso non è solo la morte che allontana le madri e, soprattutto, i padri dai loro figli. Divorzi e separazioni conflittuali hanno frequentemente l’effetto di determinare una conflagrazione a catena che rende impossibile il diritto-dovere della genitorialità. Non si tratta di casi eccezionali. Soltanto in Europa ci sono dieci milioni di minori che vivono la tragedia di una separazione non "dei" genitori, ma "dai" genitore, o almeno da uno di loro.
In Italia, i figli coinvolti nelle disgregazione familiari sono oltre un milione, solo nell'ultimo decennio. Un evento doloroso, che si incide profondamente nel cuore di bambini e ragazzi. Una svolta esistenziale che anche dopo 10, 20 o 30 anni dall'episodio determina danni psico-biologici gravi. Le ricerche sul tema sono numerose. Negli Usa la correlazione tra divorzio conflittuale e salute dei bambini coinvolti è accertata fin dagli anni Ottanta. Anche in Europa tanti studi, dopo gli anni Novanta, sono giunti alla medesima conclusione.
Non era mai stata realizzata però una ricerca che prendesse in esame le conseguenze sui figli in base alla "qualità" della separazione. Tanto più lacerante risulta l’addio, tanto più la sofferenza dei figli sfocia in situazione patologiche. L’autore dello studio, pubblicato qualche giorno fa sulla rivista Health Psicology Open, è il pediatra italiano Vittorio Vezzetti, presidente dell’associazione di genitori separati "Figli per sempre" e membro del Comitato Scientifico dell’International Council on Shared Parenting che si batte per l’introduzione dell’affido "materialmente" condiviso.
Una differenza sostanziale rispetto all'affido "nominalmente" condiviso come esiste in Italia. Proprio l’inefficacia della nostra legge, la 54 del 2006, rende particolarmente urgente riflettere sui risultati a cui è approdato Vezzetti. Sia per valutare possibili interventi preventivi sul piano sociale e culturale che possano contribuire a contenere la crescita delle separazioni. Sia per sollecitare modifiche a una legge che, come confermato dall’Istat nell'ultimo dossier sul tema, (vedi articolo qui sotto), ha lasciato di fatto invariati , o addirittura ha finito per peggiorare, gli indicatori determinati dalla scelta dell’affido condiviso all'italiana. Quello cioè che non modifica i comportamenti educativi dei genitori e non stabilisce accordi preventivi sulle modalità con cui occuparsi in modo congiunto e condiviso dei figli. L’affido "materialmente" condiviso, definito appunto shared parenting, prevede infatti che in sede giudiziaria venga stabilito e sottoscritto un protocollo dettagliato su come andranno gestiti tempi e scelte, spese e altri dettagli riguardanti la giornata del minore che vive la separazione dei genitori.
La differenza tra le due impostazioni è sostanziale. Nei Paesi europei dove l’affido "materialmente" condiviso è entrato nella legislazione – esemplare il caso svedese – la condizioni di salute dei figli sono nettamente migliori.
Lo studio di Vezzetti è partito da questa constatazione. «La premessa d’obbligo – spiega – è che fino a pochi anni fa la ricerca in questa area si è concentrata sugli effetti del divorzio "tout court", considerando i figli del divorzio come un gruppo omogeneo e senza valutare la coesistenza di altre situazioni avverse». L’errore collegato è stato di attribuire alla semplice separazione conseguenze legate invece alla perdita genitoriale o al conflitto familiare di lunga durata. «Tutte quelle situazioni – prosegue l’esperto – sono assai meno frequenti in caso di affido materialmente condiviso». La ricerca elenca nel dettaglio le conseguenze che possono verificarsi nei minori in caso di conflitto familiare persistente. «Inimmaginabili fino a poco tempo fa e assai gravi. Si sono accertati – osserva Vezzetti – disturbi ormonali, del sistema immunitario, danni a livello cromosomico per usura della parte protettiva terminale, aumento di fattori come le citochine che hanno influenza negativa sullo sviluppo di tumori e malattie infiammatorie croniche. Si è poi constatata una influenza negativa sulla statura: nelle femmine solo per causa della morte paterna, nei maschi sia in caso di morte che di perdita susseguente a rottura familiare».
Al contrario, quando l’affido è "materialmente" condiviso e si sono stabiliti tempi pari o equipollenti per quanto riguarda la presenza dei genitori con i figli, non solo si riduce il conflitto ma si apre la strada ad un maggior benessere generale dei minori. «Certo – ammette Vezzetti – al momento si tratta di dati statistici e non si riesce a definire scientificamente un rapporto causale diretto». Ma il principio di precauzione dovrebbe indurre a prendere in esame questi risultati con tutta l’attenzione dovuta al futuro dei nostri figli.
Diritto al co-genitorialità. Italia fanalino di coda. Bambini più garantiti in Svezia, Belgio e Danimarca
In Svezia oltre il 30 per cento dei bambini possono contare sul diritto alla co-genitorialità in caso di divorzio. Questo diritto, nella ricerca realizzata dal pediatra Vittorio Vezzetti "Nuovi approcci al divorzio con i bambini: un problema di salute pubblica", viene misurato sulla base del tempo effettivamente trascorso con i genitori. Più la suddivisione è equa, sulla base di un protocollo educativo condiviso da papà e mamma e sottoscritto davanti al giudice, più il punteggio è elevato. Al secondo posto, nella classifica che tutela questi diritti, c’è il Belgio (oltre 20%). Al terzo Francia, Danimarca e Spagna, con differenze tra il meno 20% e il più 8%. Sotto al 3% – fanalino di coda – troviamo l’Italia in compagnia di Grecia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Austria. I dati sono in stretta correlazione alla presenza nei vari Paesi di leggi sull’affido "materialmente" condiviso. Dove esistono buone leggi (Svezia, Belgio, Danimarca), meno conflittuale è il divorzio e meno conseguenze si registrano sui figli.
Affido condiviso, legge da rivedere
La legge 54 del 2006 sull'affido condiviso? Un fallimento. Lo spiega il rapporto "Matrimoni, separazioni e divorzi 2015" che l’Istat ha diffuso lo scorso 14 novembre. «A distanza di dieci anni dall'entrata in vigore della legge è possibile verificare in che misura la sua introduzione abbia modificato alcune caratteristiche delle sentenze emesse dai tribunali». Il dossier prende in esame alcuni parametri. Nel 2005 (prima cioè dell’introduzione della legge) i figli affidati esclusivamente alla madre erano l’80, 7%. Nel 2015 sono diventati solo 8,9%. Un successo, sembrerebbe, se non si dicesse che la nostra legge prevede il cosiddetto "genitore collocatorio", quello cioè dove il minore stabilisce la sua residenza. Ebbene, in quasi il 90 per cento dei casi, questo genitore è sempre la madre. Nel 2005 la casa coniugale veniva assegnata alle moglie nel 57,4 per cento dei casi.
Nel 2015 la percentuale è addirittura aumentata, toccando il 60 per cento dei casi. Pressoché identica anche la quota di separazioni con assegno ai figli corrisposto dal padre. Erano il 95,4% nel 2005. E il 94,1 nel 2015. Non è cambiata neppure la quota media dell’assegno. Ammontava a 483 euro dieci anni fa e – probabilmente complice la crisi e il progressivo impoverimento dei padri separati – 485,43 euro nel 2015. Numeri significativi da cui si evince che «ad accezione della drastica riduzione della proporzione di figli minori affidati in modo esclusivo alle madri, tutti gli altri indicatori non hanno subito modificazioni di rilievo». Inutile sottolineare che questa situazione dipende in larga parte da un’applicazione discrezionale della legge. I giudici, in altri termini, hanno continuato a comportarsi come se la legge non esistesse.
«Ci si attendeva – osserva ancora il dossier Istat – una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli e invece si registra un lieve aumento». Va anche detto che, con il decreto legge 132 del 2014 sugli accordi extragiudiziali, una parte della procedura amministrativa, relativa soprattutto alle separazioni consensuali, vede coinvolti direttamente o indirettamente anche gli ufficiali di Stato civile. Le osservazioni sulla sostanziale inefficacia della legge 54 del 2006 rimangono comunque inalterate. Si tratta di una norma che non ha inciso né sull'atteggiamento culturale dei magistrati, né sul benessere dei figli coinvolti nella separazione. E non ha ridotto in alcun modo neppure il tasso di conflittualità tra gli ex coniugi che, come più volte ribadito, è determinato in buona parte dalle divergenze legate all'assegno di mantenimento.