La storia. Scuola in ospedale, diventare grandi imparando a vivere
Se per un bambino studiare vuol dire crescere, per un piccolo paziente alle prese con una malattia il percorso educativo diventa ancora di più imprescindibile per poter continuare a guardare al futuro con speranza. Lo sanno bene i 58.049 studenti che nell’anno scolastico 2016-17 hanno frequentato la scuola negli ospedali. Istituita nel 1986, come sezioni distaccate della scuola del territorio, oggi la scuola dedicata ai piccoli pazienti è attiva in tutti i maggiori reparti ospedalieri del Paese. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, nell’anno scolastico 2016-2017 sono state 245 le sezioni ospedaliere attivate, mentre i docenti impegnati in corsia sono 784. Per quanto riguarda poi l’istruzione domiciliare, si contano più di mille progetti sul territorio nazionale per un totale di 62.799 ore complessive. «La cura deve essere intesa a 360 gradi – spiega Lucia Celesti, pediatra igienista e referente della scuola in ospedale al Bambino Gesù di Roma, dove il ministro Fedeli martedì ha simbolicamente aperto il nuovo anno scolastico –. È fondamentale non solo il recupero fisico ma anche quello psicologico e relazionale. La scuola in questo è potentissima perché è un legame molto forte con la vita vera: motiva, rafforza, sostiene, dà anche scopi, oltre a fare impiegare in maniera intelligente il tempo. E poi l’impegno, ossia avere qualche compito da fare, è un gancio potentissimo alla vita».
Un legame con il mondo
Nella Scuola in Ospedale nata nella sede del Gianicolo 42 anni fa, con due insegnanti a disposizione di un piccolo gruppo di bambini, per l’anno scorso gli alunni seguiti sono diventati 3.460. Più di 160, invece, i ragazzi che dal 1989 a oggi hanno affrontato gli esami di maturità o di scuola secondaria di 1° grado (le medie) in ospedale. «Metà dei nostri pazienti – prosegue Celesti – non provengono dal Lazio. Chi si allontana da casa per tanto tempo deve poter avere un percorso scolastico garantito ed efficace».
E così il Bambino Gesù ha attivato anche un programma di alfabetizzazione dedicato ai piccoli pazienti stranieri per i quali, assicura la pediatra, «la scuola è indispensabile per potersi integrare veramente». «Oltre a garantire il diritto-dovere allo studio, il percorso educativo crea un gancio con la realtà – ribadisce Fabio Manni, docente e coordinatore della scuola in ospedale al "Vito Fazzi" di Lecce –. I ragazzi cercano l’insegnante, per loro rappresenta il legame con il mondo esterno. La nostra progettazione è parallela a quella delle scuole di appartenenza. Abbiamo voluto dare un target artistico ed espressivo, partendo da discipline come musica e teatro. Ci siamo accorti che, considerato il percorso terapeutico che devono affrontare, in queste discipline i bambini riescono a esprimersi meglio. Abbiamo anche allestito un piccolo teatrino delle marionette, in quest’angolo riescono a tirare fuori i loro stati d’animo». L’attività scolastica si intreccia con le cure. «È un impegno che influisce sull’aspetto terapeutico – continua Manni –. Lo percepiamo quando ci rapportiamo con i piccoli pazienti che seguono terapie in isolamento. Non manca mai per noi un loro sorriso». Portare avanti il piano formativo è un obiettivo imprescindibile anche per i ragazzi più grandi. «Gli adolescenti dovrebbero per natura distaccarsi da tutti i legami e provare la loro autonomia. Di fatto, nelle situazioni di malattia si trovano a vivere la massima dipendenza – nota Annamaria Berenzi, docente agli Spedali Civili di Brescia –. La scuola fornisce un aggancio con la fase evolutiva che stanno vivendo, al di là delle patologie. È quello lo spazio dove sperimentano l’autonomia».
A lezione di normalità
Nei casi in cui si ha a che fare con diagnosi più difficili il percorso formativo aiuta a riappropriarsi della speranza. «Nelle patologie a rischio-vita – rimarca Berenzi – cerchiamo di portare avanti un percorso di normalità, che può garantire la possibilità di tenere lo sguardo sul futuro. Per questo è importante non interrompere la formazione, i contatti, la vita sociale che a quell’età coincide nel 90% con la vita scolastica». Ma non sempre il coinvolgimento degli alunni è scontato. «Trattandosi di adolescenti, molto dipende soprattutto dal carattere. Per questo – continua Berenzi -– credo sia prioritario conquistare terreno, farsi percepire come pezzi importanti del loro percorso terapeutico. Devono cogliere il desiderio di portare avanti un impegno a prescindere dalla malattia. Fare scuola, interagire, è necessario perché è anche così che si guarisce e si trovano le energie, come ci confermano gli stessi medici».
L’obiettivo dei docenti, spesso itineranti da una corsia all’altra, è reso però difficoltoso dal crescente numero di studenti da seguire, dalla riduzione del numero degli insegnanti e del monte ore di lezione. Una preoccupazione non da poco, cui però Valeria Fedeli si è impegnata a far fronte rimarcando che «quest’anno è stato aggiunto un milione di euro per finanziare la scuola in ospedale e che queste risorse andranno a sommarsi ai 2,5 milioni stanziati finora. Ma credo – ha aggiunto – che dobbiamo ragionare anche sul personale e sulle condizioni di esercizio della didattica».