La 30enne di Feltre. Samantha deve morire? Ai medici l'ultima parola
Samantha D'Incà
«In questa fase non sono genitore ma è come fossi Samantha, devo agire come avrebbe voluto lei. Sono certo che non avrebbe accettato alcun accanimento». L’ha detto ieri Giorgio D’Incà, padre di Samantha, la 30enne di Feltre (Belluno) dal 2 dicembre 2020 priva di coscienza dopo un intervento chirurgico, appena assunto l’incarico di amministratore di sostegno della figlia, con l’intenzione di interrompere la nutrizione assistita. Della giovane non esistono volontà di fine vita certificate. La famiglia aveva ottenuto l’ok a fermare i trattamenti dal giudice tutelare e dal comitato etico dell’Ulss di Belluno, ma la decisione ultima spetta ai medici. Solo se si opponessero si dovrebbe decidere per via giudiziaria. Diversamente, secondo la legge 219 sulle Dat, si potrebbe procedere a lasciarla morire.
Alla base della facoltà di distaccare quelli che sono supporti vitali (dare da mangiare e da bere con strumenti tecnici viste le condizioni di non autosufficienza della giovane) è la loro dubbia catalogazione come "terapie" – dunque sospendibili a richiesta del paziente – nella legge 219 del 2017, quella che introdusse le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), contestate anche per questa discussa innovazione. Distaccando i supporti per la nutrizione, Samantha morirebbe di sete, per quanto sedata. Solleva molte domande anche il fatto che sia stata catalogata la condizione della giovane come «stato vegetativo irreversibile» a soli 11 mesi dalla perdita di coscienza, quando sono ben noti e documentati molti casi di risveglio dal coma e da uno stato che era in realtà di minima coscienza anche diversi anni dopo. Una simile sentenza clinica ha autorizzato qualche sbrigativo cronista a parlare di «non vita», come accadde per Eluana Englaro. Infine, resta anche da chiarire la ricostruzione della volontà reale di Samantha: che naturalmente non ha lasciato alcuna Dat, documento peraltro considerato decisivo dalla legge 219, né testimonianze incontrovertibili su ciò che avrebbe voluto per sé in una situazione che certo non poteva immaginare. Le affermazioni dei genitori che riferiscono giudizi della figlia sui casi di Eluana e dj Fabo possono essere considerate sufficienti per toglierle la vita?
Decidere della morte di una persona disabile e vulnerabile su queste basi e senza chiarire con assoluta certezza tanti dubbi lascia aperti molti e gravosi interrogativi.