Vita

Bioetica. Medici e algoritmi ora chi comanda?

Graziella Melina giovedì 5 dicembre 2019

Robot sempre più presenti nelle sale operatorie. Macchinari in grado di facilitare la riabilitazione dei pazienti. Dispositivi capaci di individuare i meccanismi alla base delle patologie. L’intelligenza artificiale è entrata ormai a pieno ritmo nello sviluppo della medicina, con risultati insperati fino a pochi anni fa. Ma il progresso scientifico, perché sia davvero un bene per tutti e non perda la bussola, deve essere sempre governato dall’uomo, e quindi dalla sua etica. «L’intelligenza artificiale si sta imponendo sempre più anche in medicina con prospettive fino a qualche tempo fa inimmaginabili, che danno un aiuto concreto ai professionisti della sanità», spiega Rocco Bellantone, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma.

I benefici per i pazienti e il supporto per i medici sono indiscussi. Il problema nasce però se l’uomo abbandona il timone e diventa spettatore passivo delle macchine. E questo rischia di accadere, avverte Bellantone, se «si comincia a parlare di sostituzione dell’uomo e ci si trova di fronte ad algoritmi che spesso sempre più vanno in autoapprendimento, per cui sviluppano un giudizio che prima era a carico dell’uomo e nel quale ovviamente non c’è alcuno spazio per l’etica. La tecno- logia, senz’altro, è una conquista straordinaria del sapere umano, ma come tutte le scoperte bisogna saperla governare.

Quello che vedo è che, travolti dall’entusiasmo, ci stiamo soffermando assai poco su come dobbiamo gestirla. Occorre dunque capire quali possano essere le problematiche per farla funzionare meglio, per averne un controllo etico e dedicato alla persona». Di qui la necessità di un’analisi delle opportunità, ma anche degli interrogativi che si porranno con l’utilizzo sempre più massiccio delle innovazioni tecnologiche. Per farlo, scienziati, aziende leader nel settore dell’Ict e biomedicale, oltre che rappresentanti di istituzioni nazionali ed europee, si sono dati appuntamento a Roma l’11 dicembre al convegno #Ai4docs «Opportunità e rischi dell’intelligenza artificiale in medicina», promosso dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, in collaborazione con la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica.

Che l’intelligenza artificiale di per sé porti solo benefici, per chi si occupa di progresso tecnologico forse è un’ovvietà. Il problema, come sempre, dipende dall’uso che se ne vuole fare. «Non vedo rischi che non siano connessi alla stupidità umana – riflette Roberto Cingolani, responsabile tecnologia e innovazione di Leonardo –. Se qualcuno decide di utilizzare male la tecnologia o, per esempio, di fare uso di informazioni sullo stato di salute dei pazienti per fini diversi ovviamente il pericolo c’è, ma non dipende dall’algoritmo. Siamo in presenza di una tecnologia e di una applicazione che sulla carta sono solo positive. È necessario semmai potenziare l’educazione e la cultura di chi poi dovrà gestirle».

Le opportunità per la salute dei pazienti promettono di essere pressoché prodigiose. «Con il miglioramento delle tecnologie di calcolo e di analisi di grandi masse di dati – spiega Cingolani – possiamo diventare predittivi dal punto di vista delle diagnosi. Siamo in grado, per esempio, di analizzare genomi di grandi quantità di persone, sia pazienti che individui sani, e arrivare a definire una medicina preventiva personalizzata. Si potrebbero addirittura progettare farmaci su misura grazie proprio a sistemi di calcolo estremamente avanzati ». Senza contare il supporto che i dispositivi tecnologici riescono a dare agli stessi medici.

«Dotare di intelligenza artificiale per esempio un robot aiuta moltissimo l’operatore sanitario – sottolinea Cingolani –. Sono metodologie basate su sensori avanzati, che per esempio possiamo applicare alla chirurgia. Di recente, il settore interessato da queste nuove tecnologie è quello della riabilitazione. Alcune macchine intelligenti riescono ad analizzare programmi riabilitativi rispetto al paziente, dall’anziano allo sportivo, alla persona operata. Si tratta di tecnologie di supporto al medico e alla persona da curare che nelle diverse situazioni rendono sia la terapia che la diagnosi molto più rapide, affidabili, e addirittura più personalizzabili».

Anche alla fondazione Human Technopole, il nuovo istituto italiano di ricerca per le scienze della vita, con sede a Milano, sono talmente convinti che la tecnologia potrà essere di supporto per contrastare cancro e malattie neurodegenerative che per il 2024 si sono posti l’obiettivo di creare una struttura che ospiterà 7 centri di ricerca e 4 strutture scientifiche, e dove lavoreranno fino a 1.500 persone. Grazie a «un approccio multidisciplinare e al coinvolgimento di scienziati con specialità molto diverse – spiega il presidente Marco Simoni –, la genomica su larga scala sarà integrata con l’analisi dei sistemi di dati e lo sviluppo di nuove tecnologie diagnostiche.

Oggi infatti la ricerca medica non si può fare da soli, serve un grande lavoro di squadra». Nessuna incognita dunque all’orizzonte? «La tecnologia che intendiamo sviluppare – rimarca Simoni – serve per migliorare la qualità della vita degli essere umani. Il rischio grande che si può intravedere è semmai la divaricazione tra chi si può permettere di usarla e chi non ha la disponibilità economica per farlo. Noi lavoreremo per sviluppare una tecnologia che ci consenta di diffondere la medicina personalizzata a tutto il sistema sanitario, in modo che chiunque vi possa accedere ».