Alla fine la montagna ha partorito il topolino. Dopo un anno di discussioni, fra proclami, scontri all’interno della stessa maggioranza e barricate dell’opposizione, il consiglio comunale di Milano ha approvato la delibera che istituisce il registro sulle dichiarazioni anticipate di fine vita in tema di trattamento sanitario. Un registro "versione light", non nascondono gli stessi promotori della maggioranza, rispetto all’originale contenuto nelle tre delibere discusse dai consiglieri (le due di inziativa popolare dei comitati Io scelgo e Milano radicalmente nuova, forti di 12mila firma raccolte di altrettanti milanesi) e quella di iniziativa consigliare, promossa dalle due consigliere di maggioranza, Marilisa D’Amico (Pd) e Patrizia Quartieri (Sel). Il testo approvato ieri dall’aula, che tiene conto dello stop avanzato dalla segreteria generale del Comune per questione di privacy, conterrà infatti solamente le attestazioni di deposito delle dichiarazioni anticipate. L’amministrazione milanese non potrà cioè custodire fisicamente le dichiarazioni anticipate di fine vita in tema di trattamenti sanitari, donazioni di organi, cremazione e dispersione delle ceneri, ma si limiterà a raccogliere l’atto notorio del cittadino che attesta la deposizione del proprio biotestamento presso un notaio, un medico di fiducia o un’associazione.La delibera è stata approvata in apertura di seduta, dopo l’acceso dibattito di lunedì sera (terminato con un nulla di fatto per la mancanza di numero legale) con 27 voti a favore, 4 contrari (Riccardo De Corato di Fratelli d’Italia, Mariolina Moioli di Milano al Centro, Alessandro Morelli e Luca Lepore della Lega) e 1 astenuto (Elisabetta Strada della lista civica per Pisapia). Il provvedimento ha ricevuto il voto a favore anche del sindaco Giuliano Pisapia e dalla minoranza di Igor Iezzi della Lega, mentre il Pdl e il centrista Manfredi Palmeri non hanno partecipato al voto. La delibera approdata in aula, dopo un’incalzante campagna ideologica portata avanti con forza dalla giunta di Pisapia e sostenuta a gran voce in nome dei diritti civili ha creato non poche polemiche. Anche all’interno della stessa maggioranza, determinata comunque a portare avanti l’"inutile" strumento, in assenza di una normativa nazionale. Se infatti alcuni si dicono «comunque soddisfatti» per l’approvazione del testo, come l’assessore comunale alle politiche sociali Piefrancesco Majorino per il quale è «un piccolo ma importate passo» e così «Milano si conferma laboratorio dei diritti civili», altri, della sinistra radicale, non nascondono il flop del «registro annacquato». Attacca invece l’opposizione. «Ci ritroviamo una delibera che non comporta nulla – afferma il consigliere del Pdl, Matteo Forte –, se non un possibile impiego di risorse umane e finanziarie del Comune». Anche il consigliere Riccardo De Corato (Fratelli d’Italia) fa i conti in tasca all’amministrazione in tempi di tagli e rincari delle tariffe per i milanesi. «Tanto rumore per nulla, però il rumore è costato almeno centomila euro ai milanesi» attacca. Fuori dal coro, la voce di Mario Melazzini. «I pazienti sono già tutelati dal codice deontologico, il registro per le dichiarazioni sul fine vita è inutile. Rafforza solo l’idea che esistono vite non degne» scrive su Twitter l’assessore regionale alle attività produttive, malato di Sla.