La ricerca. Dal concepimento ai due anni: quei primi mille giorni decisivi per la vita
La prima lezione che alcuni docenti fanno, nei corsi universitari di neonatologia, riguarda i primi mille giorni di vita. Perché se non si capisce che lì sta il segreto di tutto il resto della vita, si parte col piede sbagliato. Partono col piede sbagliato i futuri medici, ma anche i futuri genitori, perché quello che si fa di buono o di sbagliato in questi primi mille giorni lascia il segno per l’intera vita. Quest’idea la lanciò anni fa l’Unicef, spiegando quanto l’alimentazione all’inizio della vita sia importante, così come l’alimentazione errata o la sottoalimentazione, rendendo la giusta alimentazione del bambino prima o dopo la nascita un diritto. Io ho allargato il tiro, sulla base di anni di studio sul dolore umano, sulla psicologia dei primi mesi di vita, mostrando come non solo quello che si mangia, ma anche quello che si assorbe come inquinamento col respiro o il latte della mamma, e addirittura quello che si immagazzina psicologicamente nei primi mesi ci metterà di fronte una strada in salita o una in discesa.
Ma quali sono, però, questi fatidici primi 1.000 giorni? Sono quelli che passano dal concepimento al compimento del secondo anno di vita. Se si fanno due conti, si vede che sono proprio 1.000 e che sono davvero “d’oro”. Perciò ho raccolto i miei studi e i miei corsi in un libro esattamente intitolato «I primi 1.000 giorni d’oro. La puericultura per i genitori e per chi cura i bambini» (Ancora Editrice). È un libro per le mamme e per i papà, ma con approfondimenti utili per chi studia medicina e per i pediatri. Il tuffo iniziale lo facciamo nella fragilità dell’inizio della vita. Pensate che prima di nascere possono arrivare al feto delle sostanze che ingannano il suo sistema ormonale e gli fanno smettere di produrre sostanze utili per la crescita; oppure altre sostanze che alterano addirittura il modo in cui si esprime il Dna.
Descrivo queste sostanze che purtroppo sono tante, e che possono fare danni quanto più il bambino è piccolo, passando dai suoi giocattoli o dai detersivi o dalle plastiche che lo circondano. Ma questo tuffo è accompagnato da un secondo: la bellezza dello sviluppo dei sensi del bambino, di come impara inconsciamente già prima di nascere (i nostri gusti alimentari si formano sin dalla vita prenatale), e di come conoscerà il mondo dopo la nascita. Per questo mi affido a giganti della storia della pediatria come John Bowlby, Donald Winnicott, Jacques Lacan, senza dimenticare la coppia principale degli studi sulla mente del bambino: Sigmund Freud e la figlia Anne. Perché è importante un messaggio-base: il bambino merita attenzioni, cure, discorsi, sorrisi non solo quando è in grado di rispondere dolcemente e coerentemente, quando ci sembra un ometto o una femminuccia come la mamma e il papà li sognavano. Se pensiamo di aiutarli a farsi un carattere dall’età scolastica in poi, ci sbagliamo di brutto: ormai il loro carattere, il tipo di attaccamento che mostreranno nella vita verso gli altri, le loro mappe mentali di estroversione o introversione sono già scritte. Tutta la vita del bambino si svolge in una dinamica di dialogo.
undefined - undefined
Il “big bang” avviene quando il piccolo embrione scambia messaggi ormonali con il corpo della mamma, facendo un miracolo che non si ripete in nessun altro ambito della vita: un corpo che non distrugge un piccolo corpo delle dimensioni di un ciuffo di polline che entra in lui. E questo corpo entrato nella mamma inizia a modificare la mamma stessa, facendole produrre ossitocina con la quale la mamma sarà la sola a resistere alle cose che per chiunque sono assolutamente intollerabili: il pianto del bambino e i risvegli notturni; ma manderà anche delle cellule a colonizzare le parti del cervello della mamma che ne regolano l’umore. Altrettanto stupendo sarà il modo in cui il bambino imparerà a fare i primi passi, a dire le prime parole: non perché qualcuno glielo spiega, ma per imitazione; e con l’apporto dell’incoraggiamento dei genitori.
Quello che sappiamo fare di importante, i bambini lo imparano semplicemente imitando e ricevendo dallo sguardo della mamma la giusta approvazione. Il bambino che succhia al seno vive in una fase in cui intende lo sguardo della mamma come il proprio, come se fosse lui che si guarda nel modo in cui lo guarda la mamma. Capite quanto allora è importante questo sguardo, che se è «sufficientemente buono» (avrebbe detto Winnicott) riesce a far sì che il bambino si senta amabile, accettato, si senta una risorsa. E la mamma avrà il grande ruolo di passare dalla fase dell’abbraccio a quella del distacco per fargli fare le prime esperienze, per far iniziare al bambino a sentirsi autonomo. Il papà collabora, come spiega Jaques Lacan, aiutando – quasi senza volerlo – la mamma a uscire da uno stato incantato di coperta per il bambino e ritornare a essere anche donna. E, spiega ancora Lacan, il papà avrà il gran compito di mostrare al bambino che cresce che non è onnipotente, che esistono dei limiti. Quanto è importante questo nell’epoca della cosiddetta evaporazione dei padri!
Certo, i ruoli non sono così netti, e a volte per la mancanza di un genitore l’altro dovrà inventarsi modi e abilità che lo mettono a dura prova. In questo acquista peso e urgenza l’ormai scomparsa puericultura. Cioè quella capacità del medico o dell’infermiere di non concepire il rapporto col bambino solo in base alla cura e prevenzione delle malattie, perché il bambino non è solo malattia da evitare. La puericultura è un criterio importantissimo di coltivazione del bambino, ormai raro nell’epoca della medicina-tecnica e dei passeggini corredati da tablet perché i bambini lattanti invece di guardare la mamma abbassino lo sguardo e non disturbino.
Su questo argomento, nel libro sono riportati gli esempi principali degli studi di due giganti di questo settore: Maria Montessori e Terry Brazelton. Parleremo del perché il bambino ride, perché sorride, perché piange, come evitare il dolore, i miti delle coliche e del ciuccio. Ma mi sembra giusto dare qui un piccolo assaggio, riportando cosa scrivo nel libro a proposito di un altro mito da ridimensionare: quello dei capricci: «Il capriccio è una manifestazione di un desiderio cui l’adulto risponde male; e allora il bambino ripete e ripete con l’unica maniera espressiva che ha a disposizione, per far intendere all’adulto una cosa a lui evidente, che a quanto pare l’adulto non vuole capire: la bizza. Insomma: il capriccio non avviene perché il bambino non ottiene quello che vuole, ma perché ottiene quello che NON vuole. Cosa significa che “ottiene quello che NON vuole”? (…) Se il genitore è sufficientemente buono da dedicare tempo al bambino, perché davvero interessato, il bambino sarà soddisfatto. Se il genitore non gli dedica tempo o glielo dedica distrattamente, o gli dà il primo gioco che gli passa tra le mani per tacitarlo, il bambino “si arrabbia”, fa le bizze. E ha ragione! Lui chiedeva noi, e noi gli abbiamo dato un’altra cosa.
Allora avviene un fenomeno interessante: il bambino che non riceve dal genitore l’attenzione ma il gelato (o il ciuccio o il tablet), impara a chiedere il gelato o il ciuccio o il tablet perché il genitore col suo comportamento poco accorto gli ha insegnato che quello è il massimo che può ottenere. Ma la domanda sarà sempre la stessa: voglio te, voglio il tuo tempo». Cosa portare a casa con questo libro? Primo, un paradosso: che la vita è più fragile ma anche più importante per le sue ripercussioni future, quanto più è giovane. Secondo, che il carattere si forma nei primi mesi di vita. Terzo, che per aver davvero cura del bambino bisogna guardarlo in una maniera nuova, che direi “orizzontale e verticale”. Orizzontale significa per il medico non ignorare il suo ambiente, i suoi genitori e il rapporto (bello o meno bello) che il bambino ha con loro; verticale significa che quello che è oggi dipende in gran parte da quello che era ieri, su su, fino al primo momento di esistenza.