L'intervista. Locatelli (Bambino Gesù): «Portateci Alex, siamo pronti a curarlo»
Franco Locatelli (al centro) e la sua équipe
A migliaia nei giorni scorsi, da Nord a Sud, si sono messi in fila per donare il proprio midollo per Alex, il bimbo italiano di 18 mesi affetto da una rarissima patologia e ora ricoverato in un ospedale di Londra, dove si trovano i genitori, anche loro italiani. Una mobilitazione straordinaria, e una gioia per Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco- ematologia pediatrica, terapia cellulare e genica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Che annuncia: «Se i genitori lo vorranno siamo pronti a curare Alex».
Quale lezione possiamo trarre dalla gara di solidarietà per il piccolo Alex?
I messaggi che arrivano da questa storia dimostrano chiaramente che gli italiani sono molto sensibili alla cultura della donazione. Tuttavia, occorre sottolineare anche che questo tipo di straordinaria e meritoria generosità deve essere poi razionalizzata e canalizzata rispetto a una disponibilità a donare il midollo – o meglio, le cellule staminali – per chiunque ne abbia bisogno. La donazione, insomma, non deve essere una scelta emozionale, condizionata dal singolo caso. La storia di questo bimbo deve piuttosto rappresentare un seme che genera una più larga consapevolezza di un gesto necessario per salvare la vita di tanti pazienti, adulti o bambini che siano. Va, inoltre, rimarcato con un certo orgoglio che il sistema italiano di selezione, reclutamento e gestione dei donatori è straordinariamente performante: il lavoro svolto dal Registro italiano donatori midollo osseo e dal Centro nazionale trapianti è in assoluto tra i migliori al mondo.
In Italia dunque il senso della donazione è molto forte?
Numericamente possiamo contare sul quarto registro al mondo per numero di donatori disponibili, ma soprattutto i nostri donatori sono i più affidabili: quando vengono richiamati, nel momento in cui si comincia a configurare un’eventuale compatibilità con un potenziale ricevente, il tasso di indisponibilità è straordinariamente basso. Un aspetto molto importante da sottolineare, perché è giusto essere orgogliosi del nostro sistema di gestione dei trapianti di cellule e tessuti.
Che significato ha questo dato?
Coloro che in questo momento, motivati dall’appello dei genitori del bambino, vogliono diventare donatori non devono e non possono condizionare la loro disponibilità limitatamente al singolo caso, perché non sarebbe accettabile. Bisogna informare le persone del fatto che le donazioni non possono essere destinate solo per una singola persona ma sono a disposizione di tutti. Questa vicenda può diventare comunque un’occasione per far crescere ulteriormente il livello del registro italiano, uno stimolo emozionale che genera una disponibilità più larga alla donazione e quindi non condizionata dal singolo caso specifico. Quando si saranno spenti i riflettori sulla storia di Alex auspico che permanga e si rafforzi la cultura della donazione.
Cosa sa la scienza della malattia di cui soffre Alex?
La patologia di cui soffre questo bambino è una rara forma di difetto di funzione del sistema immunitario che si chiama linfoistiocitosi emofagocitica familiare (Hlh, dall’inglese Hemophagocytic Lymphohistiocy-tosis), una patologia in cui c’è un difetto nella capacità di rispondere a determinati patogeni, soprattutto a certi virus. In sostanza, si va incontro a un’iperattivazione di altre componenti del sistema immunitario che provocano un danno tessutale importante, espresso da sintomi e da segni bioumorali rilevanti che, se non adeguatamente riconosciuti, possono addirittura portare a morte i soggetti che ne sono affetti. Esiste una cura? Questa patologia oggi beneficia di trattamenti contenitivi davvero innovativi, in particolare di un anticorpo monoclonale contro una molecola chiamata 'interferon gamma' che è la principale responsabile della fisiopatologia di questa condizione. Si tratta di un anticorpo eccezionalmente utile per controllare l’attivazione della risposta immunitaria immunodeficiente e autoaggressiva. Poi però questo risultato deve essere consolidato con l’unico trattamento oggi radicalmente curativo disponibile, cioè il trapianto di midollo osseo.
Chi può donare il midollo?
Nella gerarchia dei donatori impiegabili si parte da un fratello o da una sorella che sia immunegeneticamente identico, ossia Hla compatibile. In assenza della compatibilità con uno di essi, si cerca un donatore nei registri dei donatori di midollo osseo che possa essere compatibile con il ricevente. Va considerato però che esiste un 30 per cento di pazienti che non troverà mai un donatore che sia compatibile, a dispetto dei più di 32 milioni di donatori disponibili nel mondo.
In questi casi esistono altre cure possibili?
Per questa quota di pazienti soprattutto in età pediatrica c’è l’opzione – anch’essa assolutamente valida ed efficace – del trapianto da mamma o da papà. Si tratta di un intervento più complesso da realizzare perché bisogna manipolare le cellule che si vanno a infondere in maniera tale da eliminare selettivamente gli elementi che potrebbero aggredire l’organismo del ricevente.
Ne potrebbe beneficiare anche il piccolo Alex?
Assolutamente sì, i genitori ne sono stati informati, sono assolutamente consapevoli dei potenziali vantaggi che derivano da questo tipo di soluzione. Se vorranno considerare questa opzione, l’Ospedale Bambino Gesù ha già dato la disponibilità a trapiantare Alex con questo approccio. Bisogna sottolineare che, per una sorta di rispetto etico, di fronte a diagnosi di questo tipo prima si parte dal consolidato, quindi dal trapianto da sorella o fratello, dal donatore non consanguineo e poi si offre il trattamento più nuovo, ossia il trapianto dai genitori. Noi abbiamo trapiantato ormai 50 bambini affetti da immunodeficienze primitive con questo approccio innovativo, con una guarigione nell’ordine dell’85 per cento dei casi. Potrebbe essere una soluzione più che valida per Alex. Dunque, se i genitori lo vorranno, noi ci siamo.