La ricercatrice. Gaia Giannone, per battere il tumore la speranza è donna
Gaia Giannone
Dal sole di Copertino alla gelida Londra; Gaia Giannone è una testimonial perfetta del fatto che la scienza è 'cosa da donna' e che una giovane professionista all’estero non è necessariamente un 'cervello in fuga', ma un tassello di una nuova generazione di medici e ricercatori 'globali'.
La dottoressa Giannone non ha ancora 32 anni e grazie a una borsa di studio della Fondazione Bonadonna, con Airc (Associazione italiana ricerca contro il cancro) e Fondazione Prada, per tre anni studierà nuove cure, personalizzate e dunque più efficaci, per curare il tumore ovarico sieroso di alto grado. «È il tipo di tumore ovarico più frequente, con circa il 70% dei casi.
Il tumore dell’ovaio colpisce prevalentemente donne tra 50 e 69 anni, e nel 2020 ne sono stati diagnosticati 5.200 nuovi casi, con quasi 50 mila donne viventi con una diagnosi di tumore dell’ovaio in Italia», spiega lei, in collegamento Skype con l’Imperial College di Londra. È un tipo di tumore subdolo, perché non dà quasi mai sintomi nelle fasi iniziali, e quindi la diagnosi è quasi sempre tardiva.
Ecco perché servono cure efficaci. «Negli ultimi anni abbiamo individuato trattamenti con nuovi farmaci PARP inibitori che agiscono sulle vulnerabilità intrinseche del tumore dell’ovaio e in alcuni casi ci hanno portati a cronicizzare la malattia per molto tempo e in qualche caso ci porteranno probabilmente a curarlo».
Giannone studia il profilo genomico del tumore con una tecnica di sequenziamento (Shallow whole genome sequencing) che richiede una piccolissima quantità di Dna. «Questa tecnica ci permette di avere una panoramica del profilo del tumore dell’ovaio. Il nostro obiettivo è collegare a ogni specifico tumore dell’ovaio i processi mutazionali sottostanti, distinguere quelli che sono ormai spenti da quelli attivi, che stanno guidando la risposta o la resistenza a un determinato trattamento. Sono queste alterazioni che dobbiamo colpire per fare in modo che il trattamento sia efficace».
La dottoressa, laureata in Medicina alla Cattolica di Roma, specializzata in oncologia medica all’Istituto di Candiolo - Fondazione del Piemonte per l’Oncologia, resterà in Inghilterra fino al 2025. Cervello in fuga? «Non direi, ad esempio faccio parte di un network italiano molto forte, il MITO, la ricerca è globale e l’apporto arriva da diverse parti del mondo. L’idea è di acquisire nuove competenze da portare in Italia. Uno degli obiettivi di AIRC e Fondazione Bonadonna è far crescere una nuova generazione di medici e ricercatori, che affianchino alla pratica e alla ricerca clinica delle competenze di ricerca di laboratorio, per fare da ponte e portare le nuove scoperte dal laboratorio al letto del paziente».
La vita privata? Un amore felice con un collega coetaneo che «è il mio supporter numero uno, come io lo sono per lui». Ultima domanda (retorica): donne e scienza, si può fare? «Le donne nella scienza sono una realtà bellissima, vedo intorno a me oncologhe e ricercatrici che stanno scrivendo la storia dell’oncologia e a loro volta supportano la successiva generazione che la scriverà in futuro. Airc sostiene 5mila ricercatori e il 60% sono donne».
E per incoraggiare le giovani a scegliere studi scientifici senza soccombere a pregiudizi e stereotipi, «noi tutti insieme dobbiamo impegnarci ogni giorno per veicolare l’idea che non ci sono barriere e che le ragazze possono scegliere di diventare davvero quello che vogliono».