Il direttore risponde. Utero in affitto e adozioni gay, capovolgimento da fermare
Caro direttore,
sto seguendo la discussione sulle unioni civili che si è aperta in particolare all’interno del Pd con interesse e una certa preoccupazione. Sono convinto che la materia debba essere finalmente disciplinata per tante ragioni, in particolare dopo le due sentenze della Corte Costituzionali, la 138 del 2010 e la 170 del 2014. Il “ddl Cirinnà 2”, all’esame ora del Parlamento, offre una risposta coerente con le osservazioni della Corte nel momento in cui sposta l’asse della legge dall’art. 29 della Costituzione (che disciplina il matrimonio) all’art.2 (che disciplina i diritti degli individui e delle formazioni sociali). Il matrimonio, dunque, resta cosa ben distinta dall’unione civile: per coglierne la differenza basta richiamare il dibattito alla Costituente a partire dagli interventi dell’onorevole Nilde Jotti relatrice dell’art. 29. Su questo mi pare non ci sia divisione.
Le questioni aperte invece riguardano altro, come ha ben messo in rilievo, tra gli altri, l’onorevole Franco Monaco intervenendo proprio su “Avvenire” il 30 dicembre scorso in dialogo con lei, direttore. In particolare a dividere è il tema della cosiddetta stepchild adoption, cioè l’«adozione del figliastro» nel caso di unioni omosessuali.
Mi ha molto sorpreso che da parte di alcuni parlamentari si accusino i cattolici («una esigua, residuale minoranza di conservatori cattolici del Pd che contano poco o nulla», avrebbe detto la relatrice) di sollevare questioni più o meno confessionali, quando invece le riserve sollevate sono per nulla confessionali, anzi, fino a ieri, cioè fino a pochi anni fa, rappresentavano il nucleo di un pensiero che andava ben oltre i confini della sensibilità cattolica, al punto da costituire punti irrinunciabili anche per la cultura laica e quella femminista in particolare. Mi riferisco alla soggettività del diritto all’adozione e alla possibilità di «affittare» l’utero di una donna «terza» per produrre un bambino «adottabile».
Dunque, si faccia chiarezza, e si riconosca che siamo di fronte a un capovolgimento culturale della tradizione cosiddetta laica. Sino a pochi anni fa infatti i parlamentari laici, compresi quelli gay, escludevano di introdurre il «diritto» di adozione della coppia proprio per queste ragioni di carattere culturale e morale. Trasferire il diritto all’adozione dal soggetto bambino al soggetto coppia significa introdurre nell’ordinamento un principio individualista e di prevalenza del desiderio dei candidati alla genitorialità rispetto a quello del bambino in attesa di genitori. Sono convinto che la legge debba tenere conto dell’evoluzione del costume, ma qui siamo di fronte a una questione di principio molto seria. Si può cambiare idea, ma si deve dire perché e, soprattutto, si deve ragionare con serietà e rigore sulle conseguenze sistemiche provocate da tale cambiamento di paradigma culturale, e non liquidare chi pone il problema come un conservatore retrivo.
Personalmente ho apprezzato molto il modo con cui il governo Renzi ha trattato il tema dei migranti, considerati giustamente – a costo di prezzi elettorali rilevanti – prima ancora che come rifugiati, più o meno irregolari, come persone umane, perché i principi non si cambiano e non si scambiano a seconda delle convenienze. Qui siamo di fronte a un altro principio fondante la civiltà giuridica moderna: i bambini non sono oggetti ma soggetti.
La seconda questione riguarda i cosiddetti «uteri in affitto», non consentiti in Italia, ma consentiti appena al di là dei confini nazionali. Sylviane Agacinski Jospin, donna di sinistra da sempre, fondatrice del movimento femminista in Francia, ha affermato recentemente (“Avvenire”, 29 ottobre 2015): «Abbiamo a che fare con un mercato procreativo globalizzato nel quale i ventri sono affittati. È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini». Per tale ragione l’Assemblea nazionale francese ospiterà il prossimo 2 febbraio una Conferenza per l’abolizione universale della pratica dell’utero in affitto. Potrei citare analoghe posizioni “laiche” (penso alla professoressa Luisa Muraro, o all’onorevole Livia Turco), o il recente documento approvato dal Parlamento europeo sulla stessa linea di condanna, ma non è necessario insistere, tanto è evidente, anche in questo caso, il clamoroso cambio di paradigma non certo da parte dei cattolici. Stupisce semmai la disinvoltura con cui tutto ciò stia avvenendo in Italia.
Ecco, la questione che io pongo allora è molto semplice: è possibile ragionare su questi elementi prima di legiferare? Poi si proceda al meglio, rispettando la volontà della maggioranza e votando ogni parlamentare secondo coscienza. Ma chiedere di confrontarsi e approfondire non può essere vissuto con fastidio.
Pierluigi Castagnetti