L'obiezione di coscienza non è un colpo basso, una deroga, una disobbedienza graziosamente concessa dallo Stato a una sua legge. Chi obietta compie un atto di fedeltà alla radice più profonda di tutto il diritto, cioè la dignità e la difesa della persona. Alt, dunque, a chi vuole costringere i comportamenti di chi quella legge deve applicare. È la posizione di giuristi, medici e bioeticisti. Una risposta netta, che arriva in un momento in cui problemi organizzativi nell’applicazione della 194 spingono qualcuno a un attacco alla libertà del personale sanitario. Due i ricorsi al Consiglio d’Europa che vorrebbero condannare l’Italia perché l’obiezione dei medici impedirebbe il preteso diritto d’aborto.Tema cruciale, quello affrontato alla due giorni su «L’obiezione di coscienza tra libertà e responsabilità», organizzata dall’associazione Scienza & Vita, che si chiude oggi al centro congressi Aurelia. Delicato perché, come spiega la presidente nazionale Paola Ricci Sindoni, «l’obiezione di coscienza è la cifra di un felice paradosso della giurisprudenza di stampo democratico, secondo la quale si può rifiutare, per legge, una parte della legge». Tutto questo, sottolinea Ricci Sindoni, «non
contra legem, ma
secundum legem».Per il presidente del Comitato nazionale di bioetica, Francesco Paolo Casavola, nell’ampio excursus della sua
lectio magistralis l’origine del dissidio tra legge e coscienza è affrontato già nel Vangelo, quando Cristo invita a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale alla Cattolica, ribadisce che «l’intero sistema giuridico è da intendersi al servizio, in via diretta o indiretta, dei diritti umani». La scelta dell’obiettore, quindi, non è «una disobbedienza, a priori antigiuridica, nei confronti del potere legislativo», ma «esprime una fedeltà incondizionata» a uno dei «diritti fondamentali il cui riconoscimento è fonte del diritto e per la cui salvaguardia lo stesso ordinamento giuridico esiste».L’applicazione della legge 194 sull’aborto, resa complessa per l’alto numero di obiezioni tra il personale sanitario, certo «non può fare leva sulla forzatura della coscienza», ma solo «attraverso altre modalità organizzative». Di sicuro non con concorsi riservati o corsie professionali privilegiate a medici non obiettori: per il giurista «sarebbe illegittima qualsiasi discriminazione», perché l’obiezione «è un vero e proprio diritto costituzionale».«La logica dell’obiezione è in sintonia con i princìpi di una legislazione intimamente razionale», concorda padre Maurizio Faggioni, ordinario di bioetica all’Accademia Alfonsiana. Perché «il fondamento di ogni sistema giuridico dovrebbe trovarsi nella salvaguardia dei diritti umani e quindi ultimamente nei valori umani essenziali». Non c’è bisogno di tirare in ballo la fede cristiana: «La non comprensione delle ragioni laiche dell’obiezione – ribadisce il bioeticista – deriva da un indebolimento dei valori di molti, sommersi dal relativismo etico».Anche per l’europarlamentare Carlo Casini: «riconoscendo per legge l’obiezione di coscienza, lo Stato continua a indicare la vita come valore civile supremo e fondativo dell’ordinamento». Lo conferma anche il fatto che l’obiezione in Italia è prevista solo in quattro leggi: quella sulla leva militare (superata però dalla sua sospensione), sull’aborto, sulla procreazione assistita, sulla sperimentazione animale. E Casini, presidente del Movimento per la Vita, definisce «obiezione di coscienza» anche la raccolta di firme «Uno di noi» per chiedere all’Europa di vietare le sperimentazioni sugli embrioni: «È l’obiezione di coscienza dei popoli che non vogliono rendersi complici della morte». <+copyright>