L'intervista. Vent'anni di eutanasia, Olanda rassegnata?
Il vescovo Hendricks
Più di vent’anni di eutanasia, e in Olanda di interrogativi ne restano ancora tanti. Se li pone anche il vescovo di Haarlem-Amsterdam, Johannes W.M. Hendriks, a cominciare da quelli riguardanti la Commissione di vigilanza Rte, che interviene per controllare se la pratica eutanasica è stata eseguita a norma di legge, ma lo fa a paziente già morto.
Che senso ha un intervento a posteriori?
Per il paziente nessuno, ce l’ha invece per il medico, in quanto possono esserci serie conseguenze, più psicologiche che penali. La legge del 2001, molto simile a quella sull’aborto, ha creato una mentalità molto grave, che si sta sempre più rafforzando: quella di poter ottenere ciò che si vuole e quando lo si vuole, persino la morte. Attualmente in Olanda quasi tutti hanno un nonno, un parente, un amico o un conoscente scomparso in seguito all’eutanasia.
Quando la legge venne approvata il cardinale Ersilio Tonini la definì «una ferita gravissima inferta all’umanesimo europeo perché tocca l’intangibilità della vita umana». E la Chiesa olandese?
I vescovi ne furono addolorati e confermarono il principio assoluto dell’inviolabilità della vita umana e del suo valore. Venne pubblicata una raccolta di documenti delle Conferenze episcopali, corrispondenze, dichiarazioni ufficiali, comunicati stampa, a cura del cardinale Adrianus Simonis, da cui emerge quanto la Chiesa cattolica olandese abbia sempre contrastato questa pratica, lottando perché non diventasse legge. Da subito si denunciò il rischio che con gli anni potesse diventare una pratica “normale.” L’11 aprile 2001, dopo l’approvazione in Parlamento, venne espressa amarezza per un procedimento che non si era potuto fermare. La Chiesa olandese è poi rimasta sempre presente su questo tema: esiste un’Associazione cattolica per l’etica medica, un Istituto superiore di scienze religiose ad Haarlem con corsi in cui si parla diffusamente di eutanasia, l’associazione Pro Vita Humana...
Quali sono state le risposte della Chiesa olandese su questo tema, anche per salvare le radici cristiane del Paese? Oltre al citato dossier, prodotto con l’apporto del cardinale Willem Eijk, bioeticista e medico, che fece la sua tesi di laurea proprio sull’eutanasia, ci sono stati altri rilevanti interventi: nel 2005 e poi nel 2011 i vescovi hanno pubblicato altri atti importanti con indicazioni, riflessioni, studi e risposte alle tante domande che sorgono intorno all’eutanasia e al suicidio assistito. Le direttive vengono rinnovate anno dopo anno. In questo momento possiamo rispondere solo con il nostro operato pastorale di sacerdoti vicini ai fedeli e a chiunque abbia bisogno di noi. Nelle mie omelie insisto sugli aspetti umani, perché nella società olandese nella quale solo il 45% si dichiara credente – siamo fra i 5 Paesi più secolarizzati del mondo – piuttosto che divieti si devono dare esempi. Se vogliamo aiutare la gente a trovare Cristo dobbiamo attirarla verso di Lui, spiegare che tutti siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Racconto spesso la storia di Annie, una signora del mio paese natale, Leidschendam: quand’ero chierichetto, dopo la Messa in una casa di cura le portavo la comunione nella sua camera, perché era affetta da sclerosi multipla progressiva, allettata. Nonostante ciò era sempre gioiosa, positiva, tutti andavano da lei per sentirsi meglio. Non c’era ancora la legge sull’eutanasia, ma sono sicuro che non l’avrebbe voluta: lei voleva vivere, non morire.
Nella documentazione prodotta dalla Chiesa olandese c’è anche questa domanda: «È giusto uccidere qualcuno per pietà, visto che soffre?». Si insiste sulla «centralità del senso della vita, dell’esistere, dell’ammalarsi, e morire quando è il nostro momento, senza accelerarlo», un evento – la morte – che non va «mai vissuto in solitudine»...
Questo è il problema maggiore: la solitudine, che fa smarrire il senso della vita, in una società dove anche il disabile viene considerato quasi un peso, persino a livello economico e di assistenza. Nessuno deve vivere solo per se stesso, e nessuno deve essere o sentirsi lasciato solo. Ci sono persone che si sentono meglio dopo il trasferimento in una casa di cura o di riposo perché là si sentono accudite, si trovano in mezzo ad altri, persino i nipoti vanno a trovarli più spesso di quando erano soli a casa loro. Si ha paura di trovarsi in una situazione di patimento senza speranza, senza sostegno, senza amore, e l’eutanasia sembra la via di uscita. Tanto più che si può richiedere, ed è considerata la soluzione più facile.
In Parlamento ci sono due proposte per ampliare la legge in vigore – per ora “congelate” – da parte del partito D66, progressista di centro sinistra, appoggiate dal principale partito, il Vvd, liberale di destra. Si tratta della possibilità di applicare l’eutanasia ai bambini da 0 a 12 anni (sinora è possibile dai 12 in avanti) e a persone oltre i 75 stanche di vivere, pur senza alcuna patologia incurabile o malattia terminale. Verranno approvate?
Non lo si può escludere. Lo so, è triste, ma è un dato di fatto. L’individualismo nella nostra società è troppo forte. Perdipiù non esiste molta opposizione a livello politico.
La Chiesa parla di « delict gedoogd », delitto tollerato, tipica espressione olandese che si ritrova anche nella legge sulle droghe leggere: l’uso è proibito, ma in determinati casi viene permesso e non è punibile. Bisogna rassegnarsi alla situazione?
Abbiamo solo il 2% dei cattolici che vanno in Chiesa, è difficile assumere e portare avanti tante iniziative apostoliche. Penso che siamo in una fase di transizione. Abbiamo avuto una Chiesa molto forte, che però da 45 anni non c’è più. Servirebbero nuove realtà religiose, di cui attualmente siamo privi, a parte la Comunità di Sant’Egidio che fa il possibile e (poche) suore del Verbo Incarnato, con corsi di formazione per il personale, a livello medico e psicologico.
Altra nota dolente: i suicidi. Nel 2021 in Olanda ce ne sono stati 1.861, 5 al giorno, con 189 suicidi assistiti. Fece clamore mesi fa il caso straziante di una 28enne, Elie, passata da un istituto all’altro sin dall’età di 10 anni, che chiese e ottenne l’eutanasia. Era sana, dolce, intelligente, ma sola e disperata. Pensa anche lei che ci sia una notevole carenza nel campo dell’assistenza a giovani e adolescenti problematici?
Ai giovani si deve insegnare la realtà del dolore e quindi della sua sopportazione, perché fa parte di questo mondo, in tutte le sue forme: guerre, violenze, malattie, catastrofi naturali, infelicità, grandi o piccole che siano. La fede può indicare un percorso di accettazione, di sostegno fra noi fratelli, di illuminazione per gli altri quando siamo noi a patire, proprio come Annie. Senza alimentrare il desiderio di chiamare in aiuto la morte.