Vita

Nuovo allarme. Meno nascite e matrimoni dimezzati. Solo colpa della pandemia?

Luciano Moia lunedì 1 febbraio 2021

Un’Italia ingrigita, fragile, con prospettive di crescita sempre più incerte. È il Paese che esce dal report diffuso stamattina dall’Istat, “Primi riscontri e riflessioni sul bilancio demografico del 2020” in cui Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istituto nazionale di statistica, conferma le anticipazioni determinate dal Covid-19 e dei suoi effetti, diretti e indiretti: impennata dei morti, crollo delle nascite, dimezzamento del numero dei matrimoni. Il margine superiore della forbice demografica sono i 700 mila morti del 2020. Negli ultimi cent’anni si era andati oltre circa un secolo fa (1920) e nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale (1942-1944). Per quanto riguarda le nascite, circa 400 mila, non si era mai andati peggio negli oltre 150 anni di unità nazionale. Inevitabile che il valore negativo del saldo naturale equivalga a un meno 300 mila unità. “Un risultato che, nella storia del nostro Paese – scrive Blangiardo - si era visto unicamente nel 1918, allorché l’epidemia di “spagnola”, contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno”.

Ma il calo delle nascite, oltre che all’effetto Covid-19 – incertezza, disorientamento, paura nel futuro - ha una causa diretta anche nel sempre minor di matrimoni (circa 85mila nel 2020). Con la biologia non sono ammesse stravaganze. Poche coppie in età fertile vuol dire che sono ancora meno quelle disposte a una scelta impegnativa come quella rappresentata dalla nascita di un figlio. “Il calo della nuzialità appare, oltre che intenso – annota ancora Blangiardo - anche assai generalizzato così che, stante la persistente diffusione delle nascite provenienti da coppie coniugate (pari a 2/3 del totale secondo i dati del 2019), sembra legittimo aspettarsi, pressoché ovunque, un fattore aggiuntivo negli scenari di ulteriore caduta della natalità che potrebbero caratterizzare l'immediato futuro”.
L’Istat ricorda che nel 47,8% dei casi, i nuovi nati sono anche primogeniti, frutto di una scelta di genitorialità maturata entro un rapporto di coppia stabile. E, considerando che al matrimonio si arriva sempre più tardi, non è troppo difficile ipotizzare che nella maggior parte di quelle famiglie non ci saranno altre nascite. Una previsione che getta un’ombra sulla possibilità di rivedere la primavera dopo l’ormai lunghissimo inverno demografico che stiamo attraversando.

Anche i dati della nuzialità non sembrano autorizzare facili ottimisti. Tra il gennaio e l’ottobre 2020, i matrimoni sono stati circa 85 mila, a fronte dei 170 mila nei primi dieci mesi del 2019 e dei 182 mila nello stesso intervallo del 2018. La variazione negativa del numero di matrimoni è stata nel complesso del 50,3% , rispetto al 2019 e a parità di periodo. Bisognerebbe chiedersi a questo punto quanti sono stati i matrimoni rinviati a causa della pandemia. E qui le statistiche non ci vengono in soccorso. Fossero stati tra il 50 e 60% per cento, come ci suggerirebbero le fragili valutazioni dei cosiddetti wedding planner, il numero dei matrimoni non sarebbe poi così inferiore rispetto a quello del 2019. Ma, come detto, si tratta di un’ipotesi tutta da verificare.
Più preoccupante, dal nostro punto di vita, il dato relativo ai matrimoni religiosi che, sempre secondo le previsioni Istat, sfiorerebbe nei primi 10 mesi del 2020 un calo del 70 per cento rispetto agli stessi mesi del 2019 (- 69,6%).
Le nozze all’altare erano il 49,5% del totale delle unioni nei primi dieci mesi del 2019 e il 51,8% nello stesso periodo del 2018. Se i dati 2020 venissero confermati, e non c’è alcun indicatore che sembra suggerire il contrario, nel 2020 sarebbero quindi solo il 30,3% del totale. Come mai? Diverse le ipotesi. Alcune addirittura incoraggianti, altre meno. Può essere che la maggior parte dei rinvii riguardi coppie che sono attirate dal matrimonio in chiesa per la bellezza della cerimonia, per la partecipazione di tanti parenti, per la sontuosità della festa e del banchetto.

Da condannare? Sì e no. Se tutto questo riguarda la consapevolezza del rilievo pubblico del matrimonio, del suo significato sociale, delle implicazioni comunitarie connesse a quel “sì”, allora la scelta di rinviare dettata dal venir meno di un contesto che certamente dà spessore anche ecclesiale a un progetto d’amore, la decisione di quelle giovani coppie va guardata con rispetto.

Come va comunque sottolineata positivamente la scelta di quel 30 per cento che, magari rinviando festa e banchetto con i parenti in momenti meno rischiosi, ha deciso di rispettare la data prefissata, concentrandosi sul significato spirituale di un sacramento che comunque vede uomo e donna come ministri di quel segno di grazia e di profezia.

In ogni caso si tratta di un crollo che non va né nascosto né minimizzato ma su cui riflettere con grande attenzione, sia nella prassi pastorale (accoglienza, preparazione remota, percorsi di preparazione alle nozze, capacità di integrare i lontani), sia con un approccio culturale più ampio. Il prossimo Anno “Amoris laetitia” voluto da papa Francesco, che prenderà il via il prossimo 19 marzo per concludersi alla vigilia del X Incontro mondiale delle famiglie (a Roma nel giugno 2022) offrirà spunti, esperienze e occasioni per affrontare un tema che sta assumendo un rilievo drammatico.

“A livello territoriale la caduta più consistente ha riguardato il Mezzogiorno, dove – osserva ancora l’Istat - ha agito in modo significativo il forte ridimensionamento delle unioni religiose, il corrispondente tasso di nuzialità si è ridotto sino a mantenere nel Sud circa un quarto del valore che aveva nel 2019 e nelle Isole circa un terzo”.

Ora, cosa succederà in futuro? I dati ci dicono che i 2/3 delle nascite provengono da coppie coniugate (dati 2019). Visto che nel 2020 i matrimoni si sono più o meno dimezzati, è facile prevedere che la soglia negativa dei 400 mila nati toccata nel 2020, subirà un’ulteriore revisione verso il basso nel bilancio finale del 2021. Colpa della pandemia, certo, che però non ha fatto altro che rendere più drammatiche linee di tendenza che si erano consolidate negli ultimi decenni. I dati erano sotto gli occhi di tutti. E chi poteva e doveva intervenire non l’ha fatto, dimenticando che non c'è emergenza più allarmante di un Paese senza matrimoni e senza bambini, cioè senza amore, cioé senza speranze di futuro.