Giornata del malato. Medicina, cura e spiritualità: un’alleanza contro il dolore
Il Messaggio del Santo Padre Papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale del Malato 2023 (11 febbraio, «“Abbi cura di lui”. La compassione come esercizio sinodale di guarigione») non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti ma ha l’intento di sensibilizzare i cristiani insieme alle istituzioni sanitarie e alla società civile a un nuovo modo di dialogare e collaborare.
In effetti la collaborazione tra le diverse prospettive che concorrono a realizzare un percorso di salute, e sperabilmente di guarigione, per gli ammalati richiede ancora sviluppo e sperimentazioni di nuovi modi lavorare insieme.
Ad esempio, un lavoro multidisciplinare di sostegno ai malati, svolto realmente in modo integrato, ha diversi obiettivi. Innanzitutto mira a tutelare la soggettività dell’essere umano sofferente, curato in un contesto – quello sanitario – che può oggi avere tra gli obiettivi più rilevanti quelli economici piuttosto che la singolarità del malato. Un tema di grande rilievo riguarda infatti se la Sanità attiene a un diritto, come previsto dalla Costituzione, o sia ridotta ad una merce e ad una serie di prestazioni che per quanto tecnicamente svolte, non sono basate su un progetto antropologico di accompagnamento e sostegno della persona ammalata. Il fine è evitare il rischio, così ben evidenziato nel recente Convegno organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita con la sottoscrizione di un documento da parte delle religioni abramitiche, di ridurre e offrire anche le prestazioni sanitarie utilizzando gli ormai famosi algoritmi dell’intelligenza artificiale sulla base di particolari e specifici parametri impostati secondo logiche precostituite. Così facendo si trascura l’incontro, il dialogo e il confronto con quanti si confrontano con la malattia.
La collaborazione tra discipline ha anche il valore di testimoniare la complessità irriducibile della dimensione personale degli individui e di offrire un supporto alla speranza. La speranza, in particolare, può riguardare molteplici aspetti non solo e non necessariamente di contenuto religioso. Peraltro è bene ricordare che chiunque parla di speranza fa riferimento, in modo esplicito o meno, ad una particolare visione antropologica e che si spera sempre in qualcuno, in qualcosa, in un oltre da sé.
Una reale integrazione e collaborazione tra i diversi ambiti coinvolti nella cura, la medicina, la psicologia, le scienze sociali e la spiritualità richiedono una precisa conoscenza dei passaggi storici che hanno ostacolato in passato il dialogo tra discipline, e una particolare attenzione alla formazione degli operatori. È infatti necessaria un’adeguata preparazione del personale sanitario e dei clinici al riconoscimento dei bisogni spirituali dei pazienti e alla collaborazione con i cappellani. Ma nello stesso tempo è necessaria anche la formazione degli operatori pastorali al lavoro nel contesto sanitario, in collaborazione con la medicina e le discipline per la salute mentale.
In numerosi contesti internazionali (come ad esempio negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni) i cappellani, non solo ospedalieri, svolgono l’attività di assistenza spirituale come specialisti della cura spirituale dei pazienti, integrati tra le risorse assistenziali, avendo conseguito una formazione specifica accademica riconosciuta.
Oggi le collaborazioni tra clinici e cappellani, a parte la presenza religiosa consuetudinaria negli ospedali, in genere non sono sistematiche e non sono fondate su percorsi operativi e formativi codificati. Quando sono realizzate si rivelano però in grado di offrire risposte utili ai bisogni dei pazienti. Numerose prospettive incoraggiano questa collaborazione. In primo luogo perché la buona cura è in grado di offrire un aiuto al lavoro pastorale. Una prospettiva pastorale evoluta riconosce come la libertà di fede delle persone ammalate può essere influenzata dalla biologia e dalla sofferenza psichica. Il grave dolore fisico può, ad esempio, ostacolare la preghiera, la speranza e la fede. Per cui è legittimo e doveroso, per i clinici, prevenire, lenire ed eliminare il dolore. Questo principio è stato più volte ribadito dalla dottrina cattolica già a partire da Pio XII; ma pregiudizi ancora esistenti nella società hanno minato spesso possibilità di fiducia e alleanza tra risorse di cura e le prospettive spirituali.
Tra le esperienze in cui il lavoro multidisciplinare è stato sperimentato e costituisce ora una metodologia consolidata ricordiamo tra le altre, le cure palliative e l’oncologia pediatrica. Resta però ancora da sviluppare questa metodologia nella maggior parte degli ambiti clinici di cura.
* Cappellano Istituto Nazionale dei Tumori di Milano
** Professore Associato Università degli Studi di Milano
Gli autori di questa riflessioni hanno pubblicato nel 2022 La spiritualità nella cura. Dialoghi tra clinica, psicologia e pastorale (San Paolo)