La storia. «Marianna Bergoglio, nel nome la sua benedizione»
Quando il Papa le è passato accanto, durante l’incontro di sabato scorso con i bambini e gli adolescenti ospitati nelle strutture della Comunità Papa Giovanni XXIII, le ha sorriso e l’ha accarezzata. Marianna Bergoglio era lì con i suoi genitori affidatari, Antonio Chiarenza e Nuccia Pennisi, che sette anni fa l’hanno accolta nella loro casa famiglia di Catania. Pochi mesi prima, nata prematura e abbandonata in ospedale a causa della sua grave malformazione, le era stato dato dall’ufficiale dell’anagrafe il cognome del Pontefice, «quasi per invocare una protezione su di lei», spiega papà Antonio. Così, quando Francesco si è avvicinato, mamma Nuccia gli ha sussurrato: «Santità, si chiama come lei». Il Papa si è fermato per un istante, ha compiuto un gesto di tenerezza. Quel preciso momento, dice Chiarenza, «è stato il segno che questa benedizione c’è e continua a esserci, che lei è nel cuore del Santo Padre. Per noi è stato bello e molto importante».
Marianna soffre di idranencefalia: all’interno del suo cranio un liquor occupa il posto del cervello. Per alcuni medici la sua esistenza non era degna di essere vissuta, eppure lei riesce a spargere sprazzi di meraviglia. «Riconosce le persone, gradisce le coccole, sorride – racconta papà Antonio –. Abbiamo anche capito che sogna perché ogni tanto di notte si sveglia all’improvviso. Resta rapita dalla musica, le piace guardare la tv se ci sono i cartoni. Si spaventa se sente un rumore forte, riesce a deglutire da sola». Piccoli grandi segnali di «una vita che ha massima dignità e che merita ogni cura per il pur breve tempo che le sarà concesso. Per me il momento più bello è la sera, quando mi si addormenta in braccio mentre guardiamo la tv. Allora rimetto ordine nella mia giornata, restituisco il giusto valore alle cose importanti. Il resto scivola via». La fatica quotidiana evapora. Le rincorse per badare ai 9 figli – 4 naturali e 5 in affido – trovano un senso profondo. Ma chi lo ha fatto fare a un geologo di scegliere questa vita? Una domanda spontanea, che però risulta persino stupida di fronte alla risposta. «Diciamo che la vocazione ha prevalso sulla mia anima scientifica – scherza Antonio –. Fin da giovani, io e mia moglie abbiamo sempre ricercato qualcosa che ci facesse vivere la nostra fede come qualcosa di quotidiano, e non soltanto come l’impegno domenicale della Messa. Lungo questo percorso abbiamo incontrato la Comunità. Abbiamo iniziato a fare affidi otto mesi dopo il matrimonio. In Comunità abbiamo trovato il riferimento giusto, da soli non ce l’avremmo fatta. Incontrarci con le altre famiglie ci aiuta a condividere le difficoltà e a superarle».
Chiarenza parla con la serenità di chi «ha imparato a guardare la realtà da una prospettiva diversa: «Anche i nostri figli naturali sono cresciuti con questa visione del mondo, assimilando una scala di valori che per noi sono quelli più veri e giusti». In tutto questo, Marianna «è diventata il centro della nostra famiglia. La sua vita è un messaggio che ha un grande significato per chi le sta accanto». Certo, non è sempre facile. Antonio è una persona concreta e sincera, quindi non lo nasconde. «Siamo numerosi e chiassosi. Organizzare la quotidianità tra scuola, attività e tempo libero, è un impegno abbastanza faticoso. Direi che la capacità di osare, però, ci permette di superare gli ostacoli». Come si fa? «Aspettando a dire: non ce la faccio. Se raccogli le forze e ci provi, spesso ci riesci. Senza stare troppo a lamentarsi e dare le colpe agli altri, al destino, al governo ladro. Invece di prendertela con il mondo, ti chiedi cosa puoi fare tu per renderlo migliore».