Vita

Ricerca. Malato di Sla parla grazie a un lettore collocato nel cervello

Andrea Lavazza giovedì 2 febbraio 2023

Dove la malattia – tra le più terribili e invalidanti – toglie, la tecnologia – sempre più sofisticata – può restituire, almeno parzialmente. Le disabilità che impediscono la comunicazione riducono drasticamente l’autonomia e il benessere dell’individuo. E nella Sla si tratta spesso di uno degli esiti del progressivo peggioramento della patologia, come ha dolorosamente raccontato su queste pagine Salvatore Mazza. Attualmente, esistono dispositivi che permettono a chi affetto da sclerosi laterale amiotrofica di continuare a esprimersi, come il puntatore oculare, che però è faticoso e piuttosto lento. Tecniche sperimentali ora aprono scenari di speranza per molti pazienti. Il 21 gennaio è stato anticipato lo studio di un gruppo di ricerca della Stanford University, in California. A un volontario malato di Sla, 67 anni, da 8 incapace di articolare il linguaggio in modo comprensibile, è stato inserito un impianto cerebrale che gli ha permesso di pronunciare il numero record di 62 parole al minuto (una persona sana arriva a 160). La squadra guidata da Krishna Shenoy, tragicamente scomparso per un cancro proprio il giorno della diffusione dei risultati, è riuscita nell’impresa basandosi sulle proprie precedenti ricerche che già avevano portato a importanti progressi. Il principio base è la “lettura” dei comandi motori che il cervello invia ai muscoli coinvolti nella comunicazione scritta o verbale. Alcuni anni fa, era stato possibile cogliere i segnali che guidano il movimento della mano per scrivere le parole con una matita. Oggi, successo ancora più straordinario, si riesce a decodificare come il paziente vorrebbe muovere la bocca e tutti i muscoli coinvolti nel complesso compito di pronunciare l’insieme di suoni che formano il discorso. In questo modo, la macchina collegata ai sensori riproduce in video e, soprattutto, in audio ciò che persona vuole dire. Per migliorare l’accuratezza e la velocità si sfrutta anche l’intelligenza artificiale già incorporata negli smartphone, che completa le parole dopo la digitazione di poche lettere, sulla base degli usi più comuni. Non si leggono dunque i pensieri, come a volte erroneamente si afferma, ma le attivazioni nervose che conducono ad azioni fisiche. L’esito però è analogo: dalla testa dell’individuo paralizzato esce ciò che egli vuole trasmettere ai suoi interlocutori. Il sistema è certo invasivo: una placca con i sensori deve essere inserita nel cranio e un filo la connette al computer. Ma il guadagno è potenzialmente notevolissimo. E i futuri avanzamenti della tecnologia potrebbero rendere più semplice l’apparecchio.