Caucaso. Madri in affitto, il nuovo supermarket è la Georgia
La pubblicità della Gravidanza per altri nella metropolitana di Tblisi
Le coppie arrivano dalla confinante Turchia e dalla lontana Cina, da Israele e dalla Germania, dalla Spagna e dalla Gran Bretagna. La domanda è salita esponenzialmente da un anno, da quando cioè l’Ucraina è stata attaccata dalla Russia: il turismo procreativo verso Kiev si è rallentato e se ne è avvantaggiata la Georgia, Paese in cui la maternità surrogata è regolata per legge dal 2007. Da allora sono nati migliaia di bambini. Il problema, oggi, è proprio l’eccesso di domanda: in un Paese di 3,7 milioni di abitanti, come trovare tutte le madri surrogate richieste dal mercato mondiale dei figli su commissione? In Georgia operano 20 cliniche, concentrate soprattutto nella capitale Tblisi e a Batumi, città al confine con la Turchia, accanto a un numero indefinito di agenzie di mediazione: sono loro a occuparsi del reclutamento delle madri surrogate e in questi ultimi mesi si stanno muovendo per “importare” giovani donne da Paesi ancora più poveri. Sono loro che curano l’abbinamento con le coppie committenti (che la legge vuole sposate, eterosessuali e in possesso di un certificato medico di impossibilità a procreare), a controllare che durante la gravidanza le donne sotto contratto assumano regolarmente le medicine, si sottopongano alle visite prescritte e rispettino tutti gli accordi riguardo ad esempio l’alimentazione, l’attività fisica, i rapporti sessuali (vietati sempre, perfino con il marito).
Anche il compenso è più o meno standard: dai 15 ai 20mila dollari (un decimo del costo negli Stati Uniti) per ogni gravidanza andata a buon fine, di cui una quota erogata mensilmente con un assegno di 300 dollari. In caso di parto gemellare è previsto un bonus di 2mila dollari. La legge prevede che madre surrogata e coppia committente siglino davanti a un notaio un contratto che specifica nel dettaglio diritti e doveri. Il 99% dei clienti sono stranieri: europei, cinesi, israeliani, turchi e statunitensi, da un anno anche australiani, canadesi e irlandesi. «Dallo scoppio della guerra in Ucraina, la richiesta per noi è molto alta», osserva Tamar Gvazava, a capo di una delle più quotate agenzia di intermediazione con all’attivo 3mila bambini nati, interpellata dalla giornalista di Radio Liberty Nino Tarchnishvili, in un lungo reportage pubblicato nell’ottobre 2022. «Stiamo cercando modi per portare madri surrogate dai Paesi vicini, trasferire qui gli embrioni, poi farle tornare nei loro Paesi e, negli ultimi mesi di gravidanza, riportarle in Georgia per partorire».
L’Ufficio per la vita e la famiglia della Chiesa cattolica – una sparuta minoranza (i fedeli sono lo 0,8% della popolazione) – svolge una preziosa attività di sensibilizzazione, raccogliendo le voci delle madri surrogate, che in Georgia così come altrove sono l’anello debole della catena del business. Una delle vicende riguarda una coppia georgiana che è stata biecamente truffata: la clinica infatti li ha informati, a gravidanza quasi terminata, che il bambino era morto, senza però darne prova e comunque intascando tutti i risparmi che i due avevano racimolato per inseguire il sogno di diventare genitori.
A conferma che l’utero in affitto è una pratica che si basa sulla disuguaglianza economica e sullo sfruttamento delle donne più povere ci sono le testimonianze raccolte dalla giornalista Tarchnishvili. C’è la voce di Nino, 38 anni, incinta di due gemelli per conto di una coppia cinese che pagherà 15mila dollari alla consegna del bebè. È alla sua seconda gravidanza surrogata: ha deciso di sfruttare l’ultima possibilità (l’età massima consentita per legge è 39 anni) perché vive in una baracca. «L’affitto ci ha divorato», dice, e spera, con il compenso, di poter comprare una «piccola casa» per sé e i tre figli. Nino racconta dei malesseri provocati dalla grande quantità di medicine che è costretta a prendere, dell’incubo di partorire prematuramente e quindi di mandare a monte il contratto.
C’è poi il racconto di Salomè, alla sua terza surrogazione di maternità, la prima nel 2013, quando aveva appena 20 anni, era già madre e poverissima, senza nemmeno un tetto stabile sulla testa. Dopo 12 mesi, una nuova Gpa, questa volta due gemelli per una coppia georgiana. Poi un figlio tutto suo. Ora Salomè aspetta un bambino per una coppia straniera e sogna di comprare un appartamento tutto suo. La titolare dell’agenzia di intermediazione, Tamar Gvazava, ammette che le donne accettano di portare avanti la gravidanza per altri perché sono «senza casa, senza reddito, con mariti che fanno debiti. A causa di questo tipo di situazione potremmo considerarla come una sorta di coercizione della donna».
Gvazava spiega che la povertà induce l’80% delle madri surrogate a tornare: alcune agenzie senza scrupoli ripropongono una nuova gravidanza anche dopo soli 3 mesi dal parto, anche se le regole impongono un intervallo di almeno il doppio del tempo.
Da queste – e altre – testimonianze dovrebbe essere chiaro a tutti, anche in Italia e soprattutto tra coloro che a sinistra si sbracciano per i diritti degli ultimi ma sostengono la gestazione per altri, che non di libertà di scelta delle donne si tratta ma di costrizione. Nella sua lettera per il Natale 2022 il patriarca ortodosso georgiano Ilia II ha detto che la famiglia di un bambino nato da maternità surrogata «non può essere felice». Sommerso dalle critiche, ha precisato di amare i bambini ma di giudicare inaccettabile e moralmente illecita la pratica della surrogazione di maternità.
E l'ambasciata italiana "avvisa" le coppie di connazionali
Nonostante le recenti manifestazioni di piazza contro il governo filorusso e la conseguente instabilità politica, la Georgia resta uno dei Paesi vicini più attrattivi per le coppie eterosessuali che cercando un figlio con l’utero in affitto, non solo per i costi contenuti ma anche perché la legge prevede che il neonato venga iscritto sui documenti come figlio di entrambi.
Che la pratica in Georgia interessi anche coppie di nostri connazionali è provato dal fatto che nei meandri del sito dell’ambasciata italiana a Tblisi c’è una pagina dedicata, datata 18 agosto 2016, che fornisce molte informazioni interessanti.
La prima: gli uffici diplomatici, «nel supremo interesse del minore», sono tenuti a rilasciare al neonato un documento di viaggio idoneo a entrare in Italia. L’ambasciata però ricorda che è suo obbligo inoltrare l’atto di nascita al Comune di residenza, per «l’eventuale trascrizione», e che deve necessariamente informare «delle particolari circostanze della nascita» del bambino il Comune e la Procura della Repubblica competente.
Insomma, la sede diplomatica italiana a Tblisi sembra scoraggiare o perlomeno mettere in guardia la coppia su ciò che accadrà una volta rientrata in Italia: l’atto di nascita, prima di essere trascritto nei registri di stato civile, «sarà fatto oggetto di scrupolosa attenzione rispetto a eventuali problemi di contrarietà all’ordine pubblico per violazione dei princìpi dell’ordinamento italiano in materia di procreazione medicalmente assistita».
E non è finita qui: nella pagina web dell’ambasciata si dice che, visto che normalmente l’uomo della coppia è anche il padre biologico perché fornisce i suoi gameti, se al contrario «dalle indagini dovesse emergere che la donna indicata come madre non ha donato l’ovulo né ha portato avanti la gravidanza (cioè nella totalità dei casi di Gravidanza per altri, ndr), l’ufficiale di stato civile non potrà trascrivere gli atti di nascita nei registri di stato civile e gli interessati incorreranno nel reato di cui all’art. 567 Codice penale, che comporta per gli indagati, in casi di condanna, la pena accessoria della decadenza della potestà genitoriale». Uomo (e donna) avvisato...