La statistica. Madri e figli stanno meglio in Finlandia
È sempre un Paese nordeuropeo quello dove madri e figli vivono meglio ed è sempre un Paese africano quello dove le loro condizioni di vita sono le peggiori al mondo. L'Italia vede migliorare le sue performance, scalando ben sei posti nella classifica. È quello che emerge dal 15.mo Rapporto di Save the Children sullo stato delle madri nel mondo, che analizza le condizioni di mamme e bambini in 178 Paesi. Sono infatti Finlandia, Norvegia e Svezia che si aggiudicano il podio dei Paesi dove lo stato di salute delle donne, il loro livello di istruzione, le condizioni economiche, politiche e sociali garantiscono il benessere a mamme e figli, seguiti da Islanda, Paesi Bassi, Danimarca, Spagna, Germania, Australia e Belgio. Al contrario sono tutti dell'Africa sub-sahariana quelli che si collocano in fondo alla classifica, con in coda la Somalia, preceduta dalla Repubblica Democratica del Congo e, a pari merito, da Niger e Mali, che ottengono punteggi molto scarsi per ognuno dei 5 indicatori su cui si è basato il Rapporto: salute materna e rischio di morte per parto, benessere dei bambini e tasso di mortalità entro i 5 anni, grado di istruzione, condizioni economiche e Pil procapite, partecipazione politica delle donne al governo. Quest'anno l'Italia fa un passo in avanti, portandosi dal 17.mo all'11.mo posto, cambiamento dovuto sostanzialmente all'aumento della presenza delle donne al governo (dal 20,6% della scorsa edizione al 30,6% di quest'anno), dato che tuttavia rimane inferiore a quello di paesi come l'Angola (36,8%), il Mozambico (39,2%), Timor est (38,5%).
Le condizioni di salute delle mamme e dei bambini si mantengono nel nostro Paese a livelli alti (il tasso di mortalità femminile per cause legate a gravidanze e parto è pari a 1 ogni 20.300, quello di mortalità infantile è di 3,8 ogni 1000 nati vivi), come abbastanza alto è il livello di istruzione delle donne, pari a 16,3 anni di formazione scolastica. Al contrario subisce un decremento il reddito nazionale pro capite, che passa da 35.290 a 33.860 euro. I confronti tra i primi e gli ultimi della lista sono particolarmente stridenti se si esaminano i singoli indicatori. Se in Svezia una donna su 14.100 rischia di perdere la vita per cause legate alla gravidanza o al parto, in Ciad accade ad una su 15. Un bambino su 5 in Sierra Leone rischia di morire prima di aver compiuto 5 anni, mentre in Islanda corre questo rischio solo uno su 435. Il Rapporto esamina anche l'impatto delle crisi umanitarie sul benessere e la sopravvivenza delle madri e dei loro bambini. Durante le emergenze, siano esse conflitti o calamità naturali, i problemi che abitualmente affliggono alcuni Paesi vengono esacerbati, così come si accentuano le differenze economiche e di genere. I paesi che si posizionano in fondo alla classifica sono infatti quelli che stanno vivendo o hanno di recente vissuto una grave crisi umanitaria, un conflitto, gravi emergenze o in cui c'è un problema di accesso e qualità delle cure sanitarie. Sono ben 250 milioni i bambini under 5 che vivono in paesi in conflitto, nei quali si concentra il 56% di tutte le morti materne e infantili. E accanto alla guerra ci sono le catastrofi naturali, il 95% delle quali colpisce i paesi in via di sviluppo. "Ma le madri di tutto il mondo, anche nei contesti più difficili, fanno di tutto per portare avanti la promessa che fanno ai loro figli nel giorno in cui li mettono al mondo, quella di proteggerli sempre. Vediamo spesso madri che durante le crisi umanitarie più acute cercano di trasformare un campo profughi in una casa, che scappano dalle violenze con i propri figli tra le braccia. Sono quelle stesse madri che vediamo sbarcare quotidianamente sulle nostre coste con i loro bambini, o ancora quelle che mettono il proprio figlio in viaggio, sapendo i rischi che corre ma aggrappandosi alla speranza che essi siano inferiori a quelli che correrebbe se restasse. Sono quelle madri che continuano ad andare avanti concentrandosi sulla speranza che il futuro dei loro figli possa essere migliore e alle quali dobbiamo dare una risposta" dice il direttore generale di Save the Children Italia Valerio Neri.