Londra. Aborto “depenalizzato” e sindrome di Down, slitta il voto a Westminster
La legge britannica sull’aborto è al bivio. Alla Camera dei Comuni è atteso nei prossimi giorni il voto su quattro emendamenti alla riforma della giustizia penale che potrebbero rivoluzionare l’impianto su cui per quasi sessant’anni, Oltremanica, si è retta l’interruzione volontaria della gravidanza. La votazione era attesa nella giornata di mercoledì ma è stata rimandata (molto probabilmente alla prossima settimana) in seguito alla riorganizzazione dei lavori parlamentari.
Due di queste proposte di modifica sono di ispirazione “prolife”. L’iniziativa del deputato conservatore Liam Fox punta a vietare l’aborto a chi lo chiede esclusivamente per non mettere al mondo un bambino portatore di sindrome di Down. Circostanza che è facile da intercettare considerato che in questi casi la legge ora lo consente fino a 40 settimane. L’emendamento di Fox è maturato come seguito dell’inchiesta parlamentare del 2013 su aborto e disabilità che portò a una raccomandazione chiara: garantire condizioni omogenee di accesso all’interruzione volontaria della gravidanza per evitare discriminazioni.
Le associazioni impegnate a tutela della vita nascente approvano anche la proposta della deputata Tory Caroline Ansell di abbassare da 24 a 22 settimane il limite massimo entro cui effettuare l’aborto. Aggiustamento che nelle intenzioni del legislatore è dettato dalla necessità di adeguare la legge all’evidenza scientifica, supportata da tassi di sopravvivenza dei bambini nati prematuri sempre più alti, secondo la quale la vita fuori dell’utero oggi è possibile già a cinque mesi e mezzo.
Fanno invece molto discutere gli altri due emendamenti: entrambi proposti dall’opposizione laburista, entrambi mirati alla depenalizzazione dell’aborto. Diana Johnson propone di abolire il reato di interruzione illegale della gravidanza a carico delle donne; Stella Creasy suggerisce di eliminare la reclusione tra le pene contemplate in questi casi. L’effetto combinato di queste due iniziative desta preoccupazione a più livelli. Molti temono che ciò possa far cadere ogni deterrente contro l’infanticidio e favorire l’abuso delle pillole abortive, utilizzate sempre più spesso per l’interruzione volontaria della gravidanza a casa. Le modalità di prescrizione dei farmaci non cambierebbero ma l’idea che la madre non sia mai perseguibile per nessuna condotta – questa è la critica – potrebbe incoraggiare pratiche tardive e rischiose.
Contro gli emendamenti Johnson-Creasy si sono espresse sul fronte di difesa della vita think tank di bioetica come l’Anscombe Bioethics Centre di Oxford e la Chiesa cattolica. Il vescovo ausiliare della diocesi di Westminster, John Sherrington, referente della Conferenza episcopale di Galles e Inghilterra sulle questioni della vita, ha avvertito che «allentare le maglie della legislazione sull’aborto sarebbe un tragico errore sia per la madre che per il bambino».