Utero in affitto. Traffico di embrioni anche da e per l'Italia
Non ci sono Paesi esclusi dal mercato della vita umana, come ha fatto intendere il reportage pubblicato domenica da Avvenire, e l’Italia non fa eccezione. Dopo che la Consulta ha eliminato il divieto di fecondazione eterologa – cioè la procreazione medicalmente assistita (Pma) con gameti da “donatori” estranei alla coppia – anche il nostro Paese è entrato nel circuito internazionale dell’import-export di gameti ed embrioni. Politica ed opinione pubblica appaiono ormai assuefatte all’argomento, che non sembra più destare interesse, specie nell’attuale pandemia: basti pensare che quest’anno non è stata ancora presentata la relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 40, che regola la Pma. Nessuno ha chiesto pubblicamente spiegazioni, e tantomeno si sono sollevate proteste.
Gli ultimi dati del Ministero della Salute risalgono al 2017 e ci parlano di una importante attività di importazione ed esportazione di gameti ed embrioni. In particolare, sono stati importati 3.063 criocontenitori di liquido seminale, 6.731 di ovociti e 2.632 di embrioni. Sono invece stati esportati 2.937 criocontenitori di liquido seminale, 33 di ovociti e 57 di embrioni. Ogni criocontenitore può contenere più di un ovocita o embrione, anche fino a sei. Nella relazione si illustra nel dettaglio il traffico di materiale biologico, specificando le regioni italiane, i Paesi stranieri e il numero dei centri Pma coinvolti. Sono operazioni legittime, fra centri autorizzati ciascuno dalla propria autorità competente nazionale – in Italia le Regioni e il Ministero della Salute, mediante il Centro nazionale trapianti. Nella relazione leggiamo che, in sintesi, i flussi di questo materiale sono di due tipi. Il primo è probabilmente riconducibile all’esportazione di liquido seminale in centri esteri dove avviene la Pma con ovociti locali. Gli embrioni così formati vengono crioconservati e poi reimportati in Italia. Presumibilmente questa procedura viene seguita per evitare di importare ovociti congelati, preferendo fecondare invece ovociti “freschi” nei centri Pma esteri (non possiamo saperlo con certezza, i dati a noi noti sono aggregati e non ci consentono di seguire il percorso dei singoli gameti ed embrioni).
Il che significa che dove questo avviene – ad esempio Spagna, Repubblica Ceca e Ucraina, per citare i Paesi da cui avvengono le importazioni di embrioni più consistenti – ci sono molte “donatrici” disponibili. Le virgolette sono d’obbligo: è noto che la loro disponibilità è proporzionale al pagamento ricevuto, più o meno mascherato da indennità. È forte la pressione per poter pagare le donne anche in Italia, spostando dentro i nostri confini la compravendita degli ovociti, il che significherebbe aprire al mercato di parti del corpo umano stravolgendo la rete di donazione di organi, cellule e tessuti che invece in Italia finora ha operato senza fini di lucro e solo all’interno del circuito sanitario pubblico. Un secondo flusso di materiale Pma riguarda invece «un numero rilevante di criocontenitori di liquido seminale verso specifici centri stranieri senza successiva reimportazione di embrioni». Non è dato sapere la destinazione d’uso di questi gameti. Così come non conosciamo il motivo della esportazione dei 57 criocontenitori di embrioni, soprattutto verso Spagna, Repubblica Ceca e Austria. La relazione parla di una attività «da ritenersi sporadica» che «risponde probabilmente a esigenze specifiche»: un’ ipotesi che apre a qualsiasi soluzione, senza possibilità di verifica. La privacy dei cittadini è certamente rispettata, ma non si spiega cosa viene fatto nell’ambito del nostro Sistema sanitario. Tutto legale, certamente, però all’interno di grandi zone d’ombra che è difficile esplorare: ma c’è qualcuno a cui interessa chiarire fino in fondo tutti i passaggi?