Vita

Fine vita: perché "sì" alle norme in arrivo. Libertà e arbitrio

Mauro Cozzoli martedì 12 luglio 2011
Il ricorrente e diffuso ricorso al principio di autodeterminazione, a giustificazione di scelte eticamente discutibili, induce a qualche puntualizzazione in merito. A tale principio ci si appella soprattutto in questioni eticamente sensibili, come quella della vita terminale, di cui tanto si parla in questi ultimi tempi. Gli avversari della legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) – in approvazione alla Camera – l’accusano, in maniera anche dura, di contraddire e violare il diritto fondamentale all’autodeterminazione, ossia alla volontà di ciascuno di decidere previamente della fine della propria vita. Nella pervasiva tendenza odierna a riportare tutto l’ambito della cosiddetta vita privata sotto il principio dell’autonoma e incondizionata volontà del soggetto, scelte e comportamenti riguardanti la vita, la sessualità, il matrimonio, la procreazione, la famiglia, l’amicizia, la religione, l’educazione, la comunicazione non rispondono più a verità oggettive e vincolanti di comportamento, ma a opinioni, convenienze e preferenze soggettive, rivendicate come diritti inalienabili da riconoscere e far valere. Ogni regola e norma in questo campo è avversata come invasione e violazione della libertà e del diritto.Emerge qui un malinteso antropologico e morale, con gravi ricadute culturali e politiche, alla cui base c’è una decurtazione e distorsione del principio di autodeterminazione. Questo è principio basilare e irrinunciabile dell’operare umano: espressione prima della libertà, come potere di decisione e di scelta, che rende un individuo soggetto di libertà e di responsabilità. Dietro l’autodeterminazione c’è l’autos, l’io spirituale, il volere della persona, che rende eticamente rilevante (volontario) l’operare. Ma l’autodeterminazione del volere non è tutta la libertà, perché questa non è un potere vuoto, posto di fronte a possibilità indifferenti e opzionabili. Molte lo sono, altre no: la tutela della vita o la sua soppressione, la verità o la menzogna, la fedeltà coniugale o l’abbandono del coniuge non stanno di fronte alla libertà autodeterminante del soggetto nello stesso modo di un menu di pesce o di carne, di un viaggio in aereo o in treno, di una vacanza al mare o in montagna. Le possibilità nel secondo caso si equivalgono, nel primo no. Qui l’autodeterminazione esce dall’indifferenza ed entra nella differenza del bene dal male e della loro opposta doverosità: bonum faciendum, malum vitandum.A fare la differenza non è un dogma, una credenza, un’ideologia, un mito: è l’intelligenza (la sofia ethica di Aristotele, l’intellectus agens di Tommaso d’Aquino, la ragione pratica di Kant) in grado di conoscere le ragioni del bene e del male morale e offrirle alla libera accoglienza del volere. Così che lasciarsi dirigere dal bene non è un meno ma un più di autodeterminazione. Questa è sottratta al rischio dell’autoreferenzialità e con essa della regressione a una concezione primitiva e a una prassi infantile e abusiva della libertà. La libertà cresce e matura nel passaggio dalla libertà di scelta (autodeterminazione) alla libertà morale (autodeterminazione per il bene), cui i classici riservavano il nome libertas, chiamando la prima arbitrium. Fissando la libertà sull’arbitrium l’individuo non diventa libero ma libertario. Lo si svincola dal potere umanizzante del vero, del buono e del bello, inchiodando la libertà su se stessa, sul suo vorticoso potere di autodeterminarsi a tutto, fino alla narcosi e all’eutanasia della vita, che dell’autoreferenzialità della libertà e del suo vuoto è l’espressione estrema e mortale.Com’è stato ampiamente mostrato, anche dalle pagine di Avvenire, la legge in corso di approvazione sottrae l’autodeterminazione del volere all’arbitrio eutanasico, rapportandola alle ragioni dell’intelligenza, che sono le ragioni del bene morale della vita e della sua inviolabilità, senza né decidere la morte per rifiuto di cure ordinarie e proporzionate né respingerla per ostinazione e accanimento medico. Sul versante della vita fragile e terminale, questa legge ha rilevanza morale e pedagogica per le coscienze, incoraggiate e motivate ad autodeterminarsi per la vita e mai per la morte.