Vita

Cinema. Lezione bioetica con i dinosauri di Jurassic World

Emanuela Vinai giovedì 18 giugno 2015
Tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche lecito? «Se non lo facciamo noi, lo farà qualcun altro», risponde sereno il ricercatore cui viene chiesto di dare ragione dello sconsiderato intervento di ingegneria genetica che sta portando disastri. Un pensiero così radicato nell’opinione pubblica che quasi passa inosservato nel blockbuster campione d’incassi Jurassic World, quarto atto della narrazione epica sui dinosauri de-estinti tratta dai libri di Michael Crichton, appena uscito e già campione di incassi. Oltre a elementi già presenti nel primo film della serie, quel Jurassic Park che instillò il dubbio che la manipolazione della natura determini solo un’illusoria capacità di controllarla, oggi i rimandi al dibattito bioetico introducono elementi in linea con le nuove scoperte, a partire dagli ibridi. Perché non utilizzare Dna di altri esseri per riparare quello che non serve o non funziona nel codice genetico? Perché non tentare la strada degli ibridi per risolvere quel che natura non ti ha fornito? Il personaggio di Henry Wu, il genetista che con le sue sperimentazioni rende possibile la clonazione e l’ibridazione dei dinosauri, "aggiorna" gli animali del parco per renderli più rispondenti alle aspettative del pubblico. E dei committenti. Che si tratti di "creare" un animale più grande e più spaventoso o di produrre un essere umano con caratteristiche migliori, alla fine è l’Indominus Rex che ribalta i ruoli. La scienza è in grado di dare all’uomo un enorme e apparente potere ma non sa dirgli come usarlo. La ricerca pura non si pone limiti, anzi, tenta continuamente di superarli, scontando una difficoltà intrinseca nel conciliare l’entusiasmo della scoperta con la disciplina della riflessione. Anche con le migliori intenzioni, se l’innovazione scientifica non segue una parallela evoluzione del pensiero etico è destinata a sfuggire a ogni tipo di controllo con conseguenze non prevedibili e non gestibili. È lo specchio dell’insostenibilità biotecnologica attuale, così allarmante da suscitare negli stessi scienziati la richiesta di una moratoria sulla manipolazione del Dna umano. A fronte di una pretesa sempre più pressante di enhancement fisico e di perfetta salute, poter intervenire sulla ricombinazione del genoma è una tentazione enorme. Soprattutto economica. Già 22 anni fa Crichton scriveva della «furibonda e avventata corsa alla commercializzazione dell’ingegneria genetica», portata avanti «con tanta celerità, con un così scarno contributo di spiegazioni obiettive da precludere una piena comprensione della sua portata e delle sue implicazioni». Ecco: dopo, di solito, è tardi.