Vita

Il caso. «L'eterologa si fa». Ma i soldi non ci sono

Alessia Guerrieri mercoledì 17 settembre 2014
Costerà (la bellezza di 3mila euro a tentativo), ma si potrà fare. Dove, tra quanto tempo, con che contributo pubblico è tutto da chiarire. L’eterologa delle Regioni macina caos su caos, ancor più dopo l’incontro di ieri tra i tecnici, che avrebbero raggiunto un accordo: 3mila euro per ogni prestazione, appunto, da modulare a seconda del livello e della complessità dell’intervento. In barba a chi aveva criticato la Lombardia (unica a snocciolare queste cifre, dichiarando che saranno a carico delle coppie). Quanto al ticket, niente di fatto: non si è giunti a una cifra condivisa e la palla ora rimbalzerà sul tavolo degli assessori alla Sanità, che si incontreranno il 24 settembre.  Ma la notizia di ieri sul fronte della provetta è un’altra: e cioè che anche il Lazio ha ratificato le “linee guida” regionali. «Partirà in 21 centri», ha annunciato soddisfatto il governatore Zingaretti, anche se al momento in regione ne funziona a rilento uno nella Capitale e uno a Latina (che esegue solo tecniche di I livello). E dopo il caso del Pertini tutti i centri (esattamente 41 sui 42 presenti sul territorio) sono ancora in via di autorizzazione: una richiesta che s’è scoperto proprio lo scorso dicembre non essere mai stata avanzata dalla Regione per le sue strutture. L’OMOLOGA BLOCCATA OVUNQUE Il via libera della giunta laziale appare tanto più incredibile quanto più si tocca con mano la situazione della fecondazione assistita in regione. Dove già le liste d’attesa per l’omologa (quella cioè che avviene all’interno della coppia) sono infinite. Attualmente l’unico centro pubblico in funzione a Roma è il Sant’Anna, dove «le liste sono molto lunghe» ammettono da Ginecologia, anche perché si viaggia a organico ridotto in attesa del rinnovo di alcuni contratti. Al numero diretto del centro fecondazione si ascoltano invano molte primavere di Vivaldi, ma nessuno risponde. Eppure gli appuntamenti vanno presi per telefono, recita il sito. «Signò stai fresca ad aspettà », ribattono dopo 35 minuti d’attesa al centralino del Santa Maria Goretti di Latina, l’unico in provincia attivo secondo il Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita.  Il problema per gli altri sono le procedure di autorizzazione (dovevano essere pronte entro giugno), dopo che il caso dello scambio di embrioni al Pertini ha messo in stand-by tutti i centri per il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza. Proprio in questo ospedale e all’Umberto I – dove l’attività è sospesa – il telefono squilla per ore a vuoto. Non va meglio al San Filippo Neri: il centro procreazione assistita è chiuso dal 2012, dopo un guasto all’impianto di azoto liquido che ha distrutto 94 embrioni, 130 ovociti e 4 campioni di liquido seminale. La ristrutturazione è terminata da nove mesi, ma tutto è bloccato per il nullaosta antincendio. «Stiamo aspettando alcune disposizioni da Regione e direzione sanitaria – ammette il responsabile del centro Pma Francesco Timpano – richiami tra un paio di settimane». I tempi? Nella lista pre-chiusura «ci sono ancora 240 coppie, ma qualcuno nel frattempo sarà andato altrove». UN BUCO DA 10 MILIARDI DI EURO Eppure, nella Regione senza omologa, ecco in fretta e furia stabilite le regole per l’eterologa: sarà possibile, col servizio sanitario, per le donne con un massimo di 43 anni di età e per non oltre tre cicli. Nel Lazio la cifra di compartecipazione dei pazienti ipotizzata si aggira intorno a 1.800 euro, cioè il costo della fecondazione omologa. È «una discussione di queste ore», minimizza il governatore. Di una delibera inutile e dannosa parla invece Olimpia Tarzia, presidente in Regione del Movimento Per (Politica etica e responsabilità), visto che «non può in alcun modo colmare il vulnus normativo» e potrebbe invece «rappresentare l’ennesimo duro colpo al già dissestato servizio sanitario regionale». Il Lazio infatti è commissariato da otto anni e ha un debito lordo di 10 miliardi di euro. Lo scorso anno il bilancio si è chiuso con un buco di 900 milioni, anche se secondo il governatore già il 2015 sarà l’anno del saldo zero. LA SANITÀ NEL CAOS La macchina elefantiaca regionale arranca pure sui tempi d’attesa per le prestazioni più semplici, difficile pensare che lo sprint immaginato da Zingaretti per i 21 centri – «pronti a partire entro l’anno» – sia realistico. Per una tac nella Capitale bisogna attendere anche 350 giorni e per un’ecografia all’addome fino a 361 giorni. Ecco perché il sistema laziale «non potrà mai sostenere persino queste spese», aggiunge Tarzia, e questa ingiustificata accelerazione sull’eterologa «sa molto di demagogico».