Vita

Il dibattito. Legge sul fine vita, i dubbi della medicina

Enrico Negrotti sabato 18 marzo 2017

Il disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento che la Camera ha cominciato a discutere lunedì 13 marzo – in un’Aula semideserta – lascia molti e profondi dubbi nei professionisti chiamati a confrontarsi quotidianamente con le situazioni di limite, nella vita e nella scienza. Medici e infermieri hanno più volte manifestato disagio e le categorie professionali sono tutt’altro che concordi con l’impostazione del disegno di legge.
Se ne discute in una tavola rotonda in programma oggi – organizzata da Paola Binetti, deputato del gruppo misto-Ncd – che vedrà la presenza di esponenti delle facoltà di Medicina di tutte le università di Roma: «Vogliamo mettere in evidenza diverse contraddizioni della legge. Innanzi tutto non è chiaro quando diventeranno efficaci queste dichiarazioni anticipate: il testo dice “in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi”. Ma non si specifica minimamente “quando”: anche se dormo, svengo o perdo la coscienza in un incidente non ho la capacità di intendere e volere. Quindi andrebbe indicato e spiegato negli articoli di legge quando la perdita è persistente. O ancora: niente impedisce di sospendere idratazione e nutrizione in determinate circostanze in cui possono configurare un accanimento. Ma dire di volerle sospendere a priori significa porre le basi di una morte annunciata. E se il paziente può anche rifiutare le informazioni, come può dare un consenso informato? E pone difficoltà anche il fatto che il paziente possa rifiutare ogni cura: anche quelle palliative?».

In crisi il "patto fiduciario"


Altre difficoltà nota la presidente di uno dei sette corsi di laurea in Medicina dell’Università La Sapienza di Roma, Stefania Basili: «Agli studenti, i medici dei prossimi 40 anni, insegniamo che la medicina è scienza in divenire e che loro sono i primi attori dei progressi attesi. Ma se il paziente “in anticipo” decide di rifiutare le cure, a cosa serve la ricerca? Sono svilita come scienziato: in medicina quel che oggi è buio domani può essere luce. Pensiamo solo agli enormi progressi nella cura delle leucemie negli ultimi decenni. Vedere la situazione con gli occhi di oggi, da parte del paziente, senza voler immaginare il futuro va contro la nostra missione di migliorare la cura, è la negazione della ricerca. Anche il patto fiduciario tra medico e paziente fa parte della formazione del nostro corso di laurea: un rapporto fatto non di contrapposizione ma di condivisione dei percorsi diagnostico-terapeutici. Ma la legge sembra dare poco significato alla funzione del medico, che deve curare il paziente comprendendo tutto quello di cui ha bisogno, anche dal punto di vista non strettamente clinico quanto piuttosto assistenziale».

Le riserve degli infermieri professionali


Anche il mondo infermieristico trova carenze nel disegno di legge, a partire dal fatto che la figura professionale dell’infermiere non trova alcuno spazio nel testo. Per questo nei giorni scorsi la senatrice Annalisa Silvestro (Pd), già presidente dell’Ipasvi (la federazione nazionale dei collegi degli infermieri) ha chiesto che in diversi punti si correggano gli articoli facendo riferimento ai «componenti dell’équipe assistenziale» e non al solo medico. E che il ruolo dell’infermiere possa essere cruciale anche nel dare un senso alle attività assistenziali ai pazienti più fragili viene confermato da Chiara Mastroianni, direttrice di Antea Formad, la scuola di formazione in cure palliative di Antea associazione, che si occupa dell’assistenza a malati terminali: «Il nostro ruolo di infermieri non è solo compensare o sostituire il paziente in alcune sue necessità di base. Non interveniamo solo fisicamente nell’aiuto e nel supporto, ma cerchiamo di attribuire un senso e uno scopo esistenziale a ogni nostra azione. Viceversa, se si vede nel soddisfacimento di un bisogno solo l’atto terapeutico si ottiene una visione parziale del nostro intervento. Per noi nutrire e idratare rientra nella nostra missione». Anche il consenso, che deve essere attuale, ha bisogno di contare su dati completi per essere pienamente valido: «Siamo proprio sicuri che i pazienti vengano informati adeguatamente non solo sugli aspetti clinici della malattia, ma anche su quelli assistenziali? Cioè che ci saranno professionisti (infermieri, ma anche psicologi e terapisti) che potranno intervenire laddove la dipendenza dalle cure comporterà una serie di limitazioni alla loro autonomia. È un messaggio forte di vita che deve essere trasmesso». «La malattia e la disabilità esistono – conclude Mastroianni –. Più che sulle dichiarazioni anticipate, occorre più informazione sulle cure e sull’assistenza disponibili nelle fasi di maggior fragilità della vita».