Referendum. Sì o no all'aborto? L'Irlanda al voto sull'eccezione
Domani gli irlandesi vanno alla conta sulla vita: tre milioni e 200 mila elettori decideranno se mantenere in vigore o abrogare l’ottavo emendamento della Costituzione introdotto nel 1983 con il 67% di consensi, una norma che tutela i non nati e rende illegale l’interruzione della gravidanza salvo il «concreto e reale pericolo di vita» per la madre. È un referendum dalla valenza forse dirompente per un Paese a maggioranza cattolica che si misura da qualche tempo con processi di secolarizzazione che sembrano inarrestabili; è di 3 anni fa il referendum sui 'matrimoni' tra coppie omosessuali. Il voto di domani non apre direttamente la strada all’aborto: l’annunciato successo degli abrogazionisti (dato per scontato, ma negli ultimi giorni i no sono in rimonta) permetterebbe di approvare in Parlamento una legge che regoli la delicatissima materia, di fatto una legge contro la vita nascente che allo stato attuale sarebbe anticostituzionale. «Il Paese cambia, tutti ne devono prendere atto », strillano i fautori del sì, per la maggior parte riuniti sotto le insegne di «Together for Yes», insieme per il sì. «Chi è per il no che tipo di messaggio manda alle donne che lasciano l’Irlanda per interrompere la gravidanza in Inghilterra?», insistono. L’ex procuratore generale Michael McDowell ne fa addirittura una questione di diritti e di equità: «Non possiamo rendere giustizia alle ragazze e alle donne irlandesi fino a che l’ottavo emendamento rimane nella Costituzione».
«Falsità. Chi ama veramente le donne e i bambini non uccide», argomentano gli esponenti del no, riuniti sotto le insegne di sigle come «Pro Life campaign» e «Love Both» (amali entrambi). «Dire no il 25 maggio è il solo modo per evitare all’Irlanda la sciagurata prospettiva dell’aborto a semplice richiesta», dice per tutti la ginecologa Ruth Cullen. È scontro duro, battaglia senza esclusione di colpi, almeno a Dublino e nei centri principali dell’isola. Nei minuscoli villaggi e nelle campagne del profondo ovest e nord-ovest gli echi della disputa (che è anche politica: il governo di Leo Varadkar è per una legge permissiva) giungono attutiti, i manifesti per il sì o per il no, in inglese e gaelico, che tappezzano le vie delle città si contano sulle dita di una mano, le polemiche sullo stop (un successo della lobby del sì, sospetta qualcuno) alle inserzioni sul Web pro o contro l’abrogazione lasciano indifferenti. Eppure è qui, nell’Irlanda remota e rurale che si giocherà la partita sull’ottavo emendamento. O almeno il primo tempo del match, perché poi – portata a casa l’eventuale abrogazione – si dovrà disputare l’altra gara: che tipo di legge adottare? Con quali limiti e paletti? Basterà fissare il termine delle 12 settimane di gravidanza, come da orientamento del governo, o si potrà andare oltre, magari con il dissennato proposito di copiare il sistema dei tanto osteggiati – quando fa comodo – inglesi con le loro 26 settimane? E la salute mentale? Come, quando e in che misura sarà adottato come criterio di valutazione per accedere all’aborto? «La proposta del governo porterebbe all’instaurazione di uno dei più estremi regimi abortisti», denuncia Caroline Simons, portavoce di Love Both. «Chi dà per scontata la vittoria del sì sia almeno consapevole che poi bisognerà valutare bene, vederci chiaro, fare scelte il più possibile ragionevoli al momento di varare la legge», auspicano i rappresentanti dei movimenti per la vita, che tuttavia non si danno affatto per vinti. «L’Irlanda avrebbe ben altri problemi da affrontare oggi». Ne è convinto il politico che ha messo il turbo all’economia dell’isola quando era capo del governo tra il 1994 e il 1997 facendo dell’Irlanda la 'tigre celtica': «Dovremmo ragionare a fondo sui diritti umani in Irlanda prima di assumere decisioni che toccano il più fondamentale dei diritti. Senza questa valutazione il referendum è prematuro», dice John Bruton (che Avvenire ha intervistato pochi giorni fa). «Già, ma finché rimane l’ottavo emendamento noi come medici nulla possiamo in caso di gravi anomalie fetali o di gravidanze a seguito di violenza sessuale», replica Peter Boylan, direttore dell’Istituto nazionale di ostetricia e ginecologia proponendo le logore argomentazioni care agli a- bortisti di tutti i Paesi. Le truppe del sì con il loro marcato permissivismo sembrano poi ignorare che l’abrogazione dell’ottavo emendamento porta con sé il rischio della colonizzazione da parte degli inglesi dell’intero complesso delle pratiche abortive. Fiutando l’aria che tira, e calcolando le presumibili obiezioni di coscienza tra i medici locali, starebbero per sbarcare nell’isola le Abortion clinic del Regno Unito, pronte a sfruttare il business. A spese del sistema sanitario locale del Paese, ovviamente. Cioè dei soldi degli irlandesi.
A favore del no fa sentire con forza la sua voce la Chiesa cattolica, mentre da parte dei vertici della Chiesa d’Irlanda (anglicana-episcopale, parte integrante della comunione anglicana) è avvertibile un certo disinteresse. «Guai a minimizzare, il 25 maggio noi non votiamo per una legge ma per l’affer-mazione di un sistema di valori», mette in guardia monsignor Dermot Farrell, vescovo di Ossory. «Ho ascoltato donne che sono state violentate, mi hanno confessato che l’aborto ha lasciato in loro strascichi anche peggiori della violenza. Il diritto alla vita è fondamentale, tutti gli altri diritti su basano su questo». «Stando al dibattito in corso – incalza Brendan Kelly, vescovo di Galway – sembra che non esista altra soluzione che l’aborto per recare aiuto e sostegno alle madri in difficoltà. Ma davvero non disponiamo di altri modi per dimostrarci parte di una società attenta, compassionevole e solidale?» Le parole di Kelly sembrano rivolte indirettamente al governo, al partito di maggioranza Fin Gael di Varadkar che lascia libertà di voto, ma anche a quello che sarebbe il principale oppositore, il Fianna Fail (sarebbe, perché in realtà offre appoggio esterno), il cui leader Michael Martin è per il sì in contrasto con la base largamente contraria, sicché l’esito del referendum potrebbe produrre qualche scossone all’esecutivo. «La sfida per l’Ir-landa di oggi è quella di costruire una società che abbia davvero a cuore la maternità e la genitorialità. Dobbiamo assicurare con generosità il necessario supporto alle gestanti e alle creature che portano in grembo, costi quel che costi, anche sotto il profilo economico », mette in chiaro il vescovo. Nella Dublino che come tutta l’isola si prepara al voto, in uno slargo a pochi passi dal Trinity College un gruppetto di donne che hanno vissuto sulla propria pelle il trauma dell’aborto testimoniano pubblicamente e senza reticenze il loro dramma umano, l’evento che ne ha segnato la vita. È il più toccante, sconvolgente appello per il no che si possa immaginare. Ci sono alcune telecamere, chissà se le riprese andranno mai in onda. Quello che è certo è che nessuno si ferma a prestare attenzione. Ognuno va per i fatti suoi, con i propri pensieri. Domani diranno sì o no?